
Le comunità energetiche rinnovabili sono indispensabili per la transizione ecologica e hanno vantaggi ambientali, economici e sociali. Ecco come funzionano.
Lo sostiene Fatih Birol, direttore di Iea: “La domanda di petrolio diminuirà. I paesi, soprattutto del Medio Oriente, devono prepararsi alla transizione”
Che le società dei combustibili fossili abbiano registrato utili record nel 2022 di per sé non è una notizia nuova. Ma che le stesse società abbiano deciso di ridurre i propri investimenti nelle rinnovabili lo è e fa inorridire chi è preoccupato per le sorti dell’umanità. Primo perché stiamo parlando di un settore che ha guadagnato 4 mila miliardi di dollari di utili (contro gli 1,5 mila miliardi degli ultimi anni) e che a beneficiarne siano i soliti gruppi, quali Bp, Chevron, ExxonMobil, Shell e Total. Secondo perché parte di questo surplus verrà reinvestito in nuovi progetti di estrazione di combustibili fossili, in particolare di petrolio, rendendo più fattibili anche quei siti di estrazione finora ritenuti inaccessibili per via dei costi.
Dunque, non solo queste compagnie non hanno reinvestito nella transizione energetica ma addirittura hanno comunicato che ridurranno gli investimenti nelle fonti di energia pulita. È il caso della Bp, la quale ha annunciato che ridurrà solo del 25 per cento la produzione di oil&gas rispetto ai livelli del 2019, invece del 40 come annunciato circa tre anni fa.
Ma la Bp non è l’unica. La ExxonMobil ha registrato utili nel 2022 per 55,7 miliardi di dollari che è il più alto utile mai registrato da un’azienda petrolifera occidentale. Poi ci sono Chevron con 36,5 miliardi, Shell con circa 40 miliardi e Total Energies con poco più di 20 miliardi. Questa è una fortuna per gli azionisti: Shell ha detto che tra questo e l’anno scorso distribuirà ai suoi azionisti circa 35 miliardi di dollari.
Il motivo è che il petrolio è sempre più richiesto: da un barile di greggio si possono ottenere benzina, gasolio e carburanti per aerei. Questi prodotti hanno margini di profitto molto più alti del greggio di base e il loro prezzo è aumentato sensibilmente a causa della guerra in Ucraina. Come spiega Alessandro Lubello, editor di economia della rivista Internazionale, infatti, l’embargo sul petrolio proveniente dalla Russia ha spinto i rivenditori di prodotti raffinati a rivolgersi al mercato cinese, da dove questi vengono importanti a prezzi maggiori e quindi rivenduti sul nostro mercato a costi più alti. Ecco, da tutti questi fattori dipendono gli utili stratosferici delle compagnie energetiche.
Inoltre, gli extra-profitti rappresentano una brutta notizia per le misure di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici perché sono un bonus che le compagnie continueranno a reinvestire per fare altri profitti sempre nel campo dei combustibili fossili, andando ad aumentare ulteriormente le emissioni. Tali profitti, infatti, saranno utili per rendere più accessibili quelle fonti di estrazione che fino a oggi non sono state sfruttate perché troppo costose. Parliamo dei giacimenti nelle acque profonde degli oceani o di gas e petrolio di scisto negli Stati Uniti, i quali, grazie ai mega-profitti, possono diventare d’improvviso più redditizi.
Ricordiamoci che al mondo esistono 195 grandi progetti di estrazione e produzione di combustibili fossili che se sfruttati appieno provocheranno emissioni di CO2 pari a 646 miliardi di tonnellate (gigatonnellate). Sono le cosiddette bombe climatiche: il 60 per cento è legato a progetti già in funzione, mentre il restante 40 per cento non è ancora partito. E non dovrebbe farlo, se si vogliono centrare gli obiettivi climatici indicati dall’Accordo di Parigi del 2015.
Nonostante questi profitti, i paesi che dipendono dalle entrate di petrolio e gas “dovrebbero prepararsi a ridurre la loro dipendenza dal petrolio poiché la domanda diminuirà a lungo termine”, ha detto Fatih Birol, presidente dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) durante una conferenza a Oslo.
A prendere sul serio le parole di Birol dovrebbero essere i paesi del Medio Oriente, i quali “devono diversificare le loro economie: a mio avviso la Cop28 potrebbe essere un’ottima pietra miliare per cambiare il destino di questi paesi”, ha aggiunto Birol. “Non è più possibile gestire un paese la cui economia dipende per il 90 per cento dai proventi del petrolio e del gas perché la domanda di petrolio diminuirà”, ha aggiunto.
Finché non ci libereremo della domanda di combustibili fossili, e in particolare del petrolio, le compagnie energetiche continueranno a rifornire il lato dell’offerta. Per questo è necessario un’azione politica efficace che può partire, per esempio, dall’eliminazione dei sussidi alle fonti più inquinanti: nel 2022, i sussidi ai combustibili fossili hanno superato i mille miliardi di dollari, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea).
Un passo verso questa direzione lo ha appena fatto la Commissione europea che, su pressione di alcuni stati membri, ha annunciato l’abbandono del controverso Energy charter treaty, l’accordo che non solo ha protetto gli investimenti delle compagnie petrolifere occidentali nei paesi dell’est Europa ma che è diventato uno strumento tramite il quale le compagnie hanno potuto avviare azioni legali contro gli stati impegnati nell’adozione di misure per il clima.
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