
Una spedizione di ricercatori svedesi nel mar Baltico si è imbattuta in bolle di metano molto più in superficie del previsto. E potrebbero essercene altre.
L’impianto per la produzione di gas naturale liquefatto Pacific Northwest sarà costruito nelle terre indigene canadesi. I Lax Kw’alaams rifiutano il risarcimento di un miliardo di dollari offerto da Petronas.
I Lax Kw’alaams vivono vicino al confine tra Canada e Alaska, nella parte settentrionale della provincia della Columbia Britannica. Questa comunità indigena ha suscitato l’attenzione perché ha deciso di rifiutare un’offerta di un miliardo di dollari canadesi e l’equivalente di 108 milioni di dollari in terre, ovvero 320mila dollari per ciascun membro del gruppo, in cambio della costruzione di un impianto per l’esportazione di gas naturale liquefatto (Gnl) nel loro territorio.
Il progetto del gruppo Pacific Northwest Lng (Pnw Lng) è un piano da 11,4 miliardi di dollari che prevede la costruzione di una struttura in cui il gas naturale, trasportato attraverso 950 chilometri di gasdotti, sarà trasformato in gas naturale liquido e trasportato in Asia via mare. La struttura sarebbe situata sull’isola Lelu e sul Flora Bank (un banco di sabbia visibile durante la bassa marea), nell’estuario del fiume Skeena, zone che i Lax Kw’alaams rivendicano come indigene. Ciò, secondo la legge canadese, comporta che il gigante del gas Petronas, proprietario di maggioranza del gruppo Pacific Northwest Lng, avvii consultazioni con la comunità indigena.
Il fiume Skeena è la casa ancestrale dei Lax Kw’alaams, comunità composta da circa 3.600 membri che vivono in diversi luoghi della Columbia Britannica. All’interno di questo territorio, la comunità indigena ha accesso esclusivo alle risorse naturali, basandosi principalmente sulle attività ittiche per l’economia attuale, così come accadeva in quella tradizionale. Il fiume Skeena, infatti, è il secondo fiume della provincia per la produzione di salmone.
I Lax Kw’alaams hanno rifiutato all’unanimità un risarcimento di un miliardo di dollari canadesi per la costruzione dell’impianto Gnl in tre voti separati, dopo essere stati coinvolti nella revisione dell’impatto ambientale del progetto per quattro anni. La comunità indigena ha quindi esercitato il proprio diritto di consenso libero e informato, sancito dall’articolo 10 della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni delle Nazioni Unite. La comunità ha infatti specificato in un comunicato stampa:
Il consenso unanime della comunità contro un progetto per cui viene fatta un’offerta di oltre un miliardo di dollari trasmette il messaggio che non si tratta di una questione di denaro: bensì ambientale e culturale.
La proposta è stata bocciata in quanto i Lax Kw’alaams sarebbero stati esclusi dall’isola Lelu, dove ricavano piante e medicine tradizionali. Il ponte sospeso che collegherebbe l’isola Lelu e il Flora Bank, le tratte di 350 navi all’anno che trasportano Gnl e i 120 chilometri di gasdotti in mare comprometterebbero le risorse marine, tra cui salmone, granchi, scorfani, halibut, aringhe e alghe. Risorse che i Lax Kw’alaams, per la legge tradizionale, sono destinati a proteggere per le generazioni future.
La consultazione per il progetto è stata effettuata con cinque gruppi indigeni. Di questi, i Lax Kw’alaams sono gli unici ad aver rifiutato un accordo per il presente, rimanendo però aperti a trovare una soluzione in futuro. Nel frattempo, il governo provinciale ha rinnovato il proprio impegno nel progetto, firmando un accordo con il gruppo Pacific Northwest Lng, uno dei 19 progetti per il gas naturale liquefatto nella Columbia Britannica. Tuttavia, l’approvazione finale spetta alla Canadian environmental assessment agency, la cui decisione è prevista per l’autunno.
Il grande capo Stewart Phillip ha affermato al quotidiano canadese Globe and Mail che “i nostri anziani ci ricordano che il denaro è come la polvere che viene soffiata via velocemente dal vento, mentre la terra è per sempre”. La lotta dei Lax Kw’alaams non è solo una questione di diritti delle popolazioni indigene. Si tratta di una comunità che non vuole sacrificare i propri luoghi per gli interessi delle multinazionali.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Una spedizione di ricercatori svedesi nel mar Baltico si è imbattuta in bolle di metano molto più in superficie del previsto. E potrebbero essercene altre.
L’obiettivo della spedizione, che si svolgerà nell’Amazzonia ecuadoriana, è di analizzare e mappare gli impatti socio-ambientali del gas flaring.
MIgliaia di nativi americani protestano contro un oleodotto nel Dakota del Nord che minaccia le terre sioux e il fiume Missouri.
In Russia si vuole autorizzare l’abbattimento di oltre 762 ettari di foresta. Le ruspe, oltre al turismo di massa, sono l’ennesima minaccia al fragile ecosistema del Bajkal, che contiene il venti per cento dell’acqua dolce non congelata di tutto il Pianeta.
Una mappa del Guardian mostra come l’inquinamento dell’aria in Europa sia diffusissimo. La Pianura Padana tra le aree peggiori in assoluto.
Nove giudici si sono espressi contro il marco temporal, la legge che avrebbe tolto il diritto dei popoli indigeni a vivere sulle loro terre.
Arriva anche in Italia una proposta di legge per il reato di ecocidio. Jojo Mehta, fondatrice di Stop ecocide International, spiega perché è essenziale.
Nonostante indicazioni contrastanti da parte degli studi, la Commissione europea non vuole applicare un principio di precauzione sul glifosato.
L’università Queen Margaret di Edimburgo ha annunciato la scoperta di una sostanza in grado di sostituire l’olio di palma.