Donald Trump, cosa succede ora dopo l’impeachment

Donald Trump sembra immune a tutti gli scandali che lo riguardano. Si salverà anche dall’impeachment? Lo abbiamo chiesto a Riccardo Alcaro dell’Istituto affari internazionali.

Quel parrucchino biondo inconfondibile, i movimenti delle labbra che scandiscono con precisione ogni parola, il colorito della pelle che tende all’arancione, l’immancabile cravatta rossa o blu in onore della bandiera americana. E quei micidiali tweet lanciati contro gli avversari politici. È proprio vero: l’attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump – eletto nel 2016, ma insediatosi alla Casa Bianca il 20 gennaio del 2017 – ha uno stile unico. Come unica è stata la sua presidenza: costellata di scandali, polemiche e divisioni, non sembra però aver scontentato i suoi elettori.

C’è da chiedersi se le cose cambieranno adesso che Trump è sotto impeachment: la Camera lo ha formalmente posto sotto accusa per abuso di potere e per ostruzione al Congresso, quindi ora gli toccherà essere processato dal Senato che deciderà se rimuoverlo dall’incarico o meno. Per avere in anticipo un’idea di quale potrà essere il suo destino e di quali saranno le (pesanti) ricadute sulla comunità internazionale, abbiamo parlato con Riccardo Alcaro, coordinatore delle ricerche dell’Istituto affari internazionali (Iai) e responsabile del programma “Attori globali” dello stesso.

impeachment Donald Trump, intervista Riccardo Alcaro
Approvata la procedura di impeachment contro Donald Trump © Mohammed Abed/Afp/Getty Images

In parole povere cos’è l’impeachment?
L’impeachment è la messa sotto accusa, l’incriminazione del presidente in carica da parte di una delle due camere del parlamento degli Stati Uniti, che si chiama Congresso. Il Congresso è diviso in due camere: quella dei rappresentanti e il Senato. La prima è costituzionalmente l’organo deputato a mettere eventualmente sotto inchiesta il presidente, ed è quello che è successo. Trump è stato incriminato per aver commesso, secondo la maggioranza dei membri della Camera, atti che possono essere definiti alti crimini o misfatti, secondo il dettato costituzionale. Non sono reati nel senso penale del termine, ma atti contrari alla Costituzione. Nel suo caso si tratta di abuso dell’ufficio presidenziale, cioè ha usato il suo ufficio per il proprio tornaconto politico facendo pressione su un paese terzo. Il secondo è ostruzione; avrebbe cioè impedito la testimonianza di alcuni sui collaboratori che erano stati chiamati dalla Camera dei rappresentanti a testimoniare. Ora la palla passa al Senato, dove ci sarà una specie di processo: mentre la Camera vota la messa sotto inchiesta, il Senato vota la destituzione o meno. Mentre nella Camera basta la maggioranza assoluta per la messa sotto inchiesta, per l’effettiva destituzione serve una super maggioranza di due terzi.

Come si è arrivati a tutto questo?
Nell’estate scorsa è venuto fuori che Trump in una telefonata con il presidente dell’Ucraina [Volodymyr Zelensky, ndr] aveva sollecitato l’apertura di due inchieste che avrebbe potuto sfruttare a suo vantaggio nella campagna del 2020 quando si sarebbe ricandidato. Trump ha chiesto di aprire un’inchiesta su una società ucraina nel cui consiglio di amministrazione c’era il figlio di Joe Biden – uno dei candidati alla nomination democratica, possibile sfidante di Trump alle prossime elezioni, che l’estate scorsa era in testa nei sondaggi relativi alle primarie del Partito democratico ed era considerato da Trump l’avversario più temibile –.

Insistendo con il presidente ucraino perché aprisse quest’inchiesta, aveva l’obiettivo di usare qualunque cosa fosse uscita – anche se in realtà non c’erano prove di illecito – come arma politica durante la campagna elettorale contro Biden. Non si è trattato di una richiesta di rafforzare le misure di anticorruzione dell’Ucraina o altro, ma di un’effettiva richiesta di mettere pubblicamente insieme le parole “Biden” e “inchiesta su corruzione” a prescindere dall’effettiva esistenza di prove indiziarie o meno sul fatto che Joe Biden (che è stato anche vicepresidente di Obama) avesse commesso qualche illecito. Non si tratta nemmeno di una richiesta che Trump avrebbe fatto perché in realtà dall’inchiesta della Camera dei rappresentanti è venuto fuori che era una richiesta con un tono un po’ “da gangster” perché si era condizionata all’apertura di questa inchiesta una visita di stato del presidente ucraino alla Casa Bianca e soprattutto lo sborso di 400 milioni di dollari di aiuti militari da parte degli Stati Uniti all’Ucraina. Quest’ultima è un paese militarmente molto debole che è stato aggredito dalla Russia nel 2014, con la quale è tutt’ora in una guerra a bassa intensità. Quindi dipende enormemente dagli aiuti politici, militari e finanziari degli altri paesi. Il presidente ucraino era in una situazione impossibile: aveva bisogno dell’aiuto degli Usa da una parte, ma dall’altra gli si chiedeva di indirettamente nuocere ad uno dei partiti politici americani che un giorno avrebbe potuto riesprimere il presidente.

Come ha reagito la comunità internazionale?
Ha reagito con sgomento. I democratici dicono che Trump abbia sfruttato i poteri presidenziali per danneggiare un suo avversario politico e l’abbia fatto mettendo pressione su un paese terzo, partner degli Usa che da loro dipende enormemente. I repubblicani sostengono che quello che Trump ha fatto in realtà non equivale a un effettivo ricatto: ok, magari non è un santo, ma le prove non sostengono che ci sia effettivamente stato un qui pro quo tra le due parti. Però diciamo che Trump effettivamente ha messo sotto pressione l’altro. È la prima volta che un presidente americano usa il suo ufficio per un suo tornaconto personale, trasforma la relazione con un paese terzo in uno strumento di politica interna. Da un certo punto di vista c’è sgomento perché non è mai successo prima. Però non c’è nessuna chance che Trump venga effettivamente destituito perché i democratici non hanno la maggioranza al Senato, dove avrebbero bisogno dei due terzi. I repubblicani non voteranno mai la destituzione. Verrà assolto dal Senato perché i repubblicani si metteranno di traverso. D’altro canto, politicamente è una tempesta. Se sopravviverà e verrà rieletto, per tutti gli altri paesi del mondo si apriranno nuove strade e nuove opzioni per interagire con gli Stati Uniti, favorire questo o quel candidato e sfruttare la politica interna americana per un proprio tornaconto. È come se si aprisse il mercato delle vacche. So che sei un politico importante, addirittura il candidato presidenziale degli Stati Uniti, so che vuoi questo e quello e io te lo offro, ti aiuto nella tua carriera politica e tu in cambio mi aiuti dopo. È una novità, una svolta nel modo che gli americani hanno di gestire le loro relazioni internazionali, che sono sempre state gestite su una base piuttosto bipartisan, cioè di consenso comune fra democratici e repubblicani, ma di certo non c’è mai stato questo ingresso della politica interna americana nella politica estera, non s’è mai visto un presidente fare una cosa del genere.

Possiamo dire che si tratti di un momento storico?
Senz’altro la presidenza Trump è storica per tanti motivi, soprattutto per la natura del personaggio, che è antitetico ad alcune caratteristiche umane di portamento, di comportamento, di condotta, di retorica che erano considerate assolutamente inseparabili dall’ufficio presidenziale negli Stati Uniti. Non si è mai visto un presidente governare per tweet, non si è mai visto un presidente così ignorante dell’ufficio governativo, del funzionamento del governo federale, non si è mai visto un presidente attaccare i suoi avversari politici di continuo, anche su base personale; non si è mai visto un presidente usare una retorica così controversa, carica d’odio, populista nel senso estremo del termine, per cui l’avversario politico è ridotto ad un essere antropologicamente inferiore, la stampa viene accusata di essere il nemico numero uno dell’opinione pubblica – insomma una retorica che ricorda, a volte, quella dei regimi autoritari. Quindi che un personaggio del genere potesse diventare presidente degli Stati Uniti era impensabile fino al 2016. E poi è un personaggio che effettivamente sta esplorando, con la sua personalità, i limiti del potere del presidente degli Stati Uniti. Tanti scandali che hanno riguardato Trump tendenzialmente uccidono la carriera politica di un membro del Congresso, o anche del presidente americano, invece Trump sembra immune, sembra invulnerabile a questo tipo di scandali. Ricorda la carriera di Silvio Berlusconi in Italia, circondato anch’egli da scandali che avrebbero ucciso la carriera politica di altri, mentre lui ne usciva sempre indenne. Ovviamente, però, c’è una differenza di scala fra Italia e Stati Uniti e Trump potrebbe essere storico, soprattutto se dovesse venire rieletto.

Dalle elezioni del 2020 cosa si aspetta?
Diciamo che i presidenti americani possono essere rieletti per due mandati di quattro anni, poi basta. Tendenzialmente, i presidenti in carica partono con un grande vantaggio. In più l’economia americana va molto bene, la disoccupazione è bassissima – siamo sotto il 4 per cento –; la base elettorale di Trump è estremamente fedele e contenta, quindi in una situazione normale lui sarebbe in un’assoluta botte di ferro. Ma è talmente controverso come persona che effettivamente suscita un’opposizione molto sentita e molto forte, questo lo rende più vulnerabile di quanto lo sarebbe un altro presidente nelle sue condizioni. Detto questo, ha buone chance di essere rieletto. Avremo un’idea più chiara di queste chance quando il Partito democratico avrà ultimato il processo delle primarie e selezionato quindi lo sfidante di Trump.

I sondaggi a livello nazionale danno Trump tendenzialmente in vantaggio contro lo sfidante democratico, ma questo vale poco, prima di tutto perché non si conosce ancora lo sfidante, e poi perché i sondaggi nazionali negli Stati Uniti valgono poco: il presidente non viene eletto dalla maggioranza assoluta dei votanti, ma attraverso un complicato sistema che si chiama collegio elettorale e che assegna un determinato numero di voti a ogni stato dei 50 stati federali che compongono gli Usa, rappresentativo della popolazione di quello stato. Quindi per esempio la California, che è il più popoloso, ha un numero di voti più alto rispetto al Wyoming, che è lo stato meno popoloso, però tendenzialmente è possibile, grazie a questo sistema, che il presidente ottenga meno voti del suo sfidante, ma vinca il collegio elettorale e diventi presidente. È quello che è successo proprio a Trump nel 2016, che addirittura ottenne tre milioni di voti in meno rispetto a Hillary Clinton, ma vinse in più stati e quindi ottenne la presidenza.

Com’è la geografia elettorale degli Stati Uniti?
Dai primi anni Duemila in poi, la geografia elettorale degli Stati Uniti si è venuta un po’ consolidandosi: abbiamo la costa ovest, da nord a sud – Washington state, Oregon e California –; il nordest, quindi lo stato di New York e tutti i piccoli stati che vengono detti New England – Massachusetts, Connecticut, Rhode Island eccetera –, che sono democratici. Tutti gli stati della provincia interna e soprattutto del sud, invece, sono repubblicani. E poi c’è tutta una serie di stati che sono un po’ oscillanti: una è la Florida, un altro è l’Ohio, e Trump ha avuto il grande merito di capire che avrebbe potuto vincere in quelli attorno alla regione dei grandi laghi – il Michigan, il Wisconsin – che tradizionalmente votavano democratico perché là originariamente la classe operaia era molto forte, ma poi si è indebolita col processo di deindustrializzazione e delocalizzazione, e quindi Trump ha visto una possibilità per riconquistare il voto in quelle zone con una retorica protezionista, antiglobalista. È stata un’operazione riuscita, anche se ha vinto per soli 40mila voti.

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