Il calcio accende i riflettori sulla crisi congolese: il caso Lukaku

“L’esultanza” di Romelu Lukaku è un riferimento alla guerra nella Repubblica Democratica del Congo, dove è in corso una crisi umanitaria.

L’esultanza dell’attaccante della Roma Romelu Lukaku ha acceso i riflettori italiani sulla crisi umanitaria in corso nella Repubblica Democratica del Congo. Le manifestazioni sportive, come una partita di calcio, o le kermesse artistiche sono uno spazio di gioco e di cultura, ma a volte si trasformano in uno spazio politico. Di esempi ce ne sono molteplici. Basti ricordare il maratoneta etiope Feyisa Lilesa che, alle Olimpiadi di Rio del 2016, fece un gesto di protesta contro il governo di Addis Abeba per la persecuzione del popolo Oromo – protesta per cui andò in esilio fino al 2018 – il giocatore di football Colin Kaepernick che per primo nel 2021 iniziò a protestare contro la brutalità della polizia negli Stati Uniti inginocchiandosi, o, ancora i vari riferimenti politici nei discorsi di accettazione di premi prestigiosi come gli Oscar per il cinema e, guardando all’Italia, il palco del festival della canzone italiana: Sanremo.

Il gesto di Lukaku contro le violenze nella Repubblica Democratica del Congo

Romelu Lukaku durante la partita di Europa League tra Feyenoord e Roma ha esultato tappandosi la bocca con una mano e puntandosi l’altra alla tempia, simulando una pistola. Un gesto che abbiamo visto fare anche ai giocatori della nazionale della Repubblica Democratica del Congo durante l’inno nella semifinale di Coppa d’Africa contro la Costa d’Avorio e dal giocatore congolese Héritier Luvumbu che, proprio in Ruanda, dopo un goal, ha riproposto lo stesso messaggio politico che gli ha causato la rescissione del contratto e sei mesi di squalifica.

Il gesto di Lukaku, giocatore belga di origine congolesi, che stiamo vedendo su diversi campi, è un riferimento a ciò che sta succedendo nella regione orientale del paese africano, dove continuano gli scontri con le milizie ribelli sostenute proprio dal Ruanda, che hanno causato una delle più gravi crisi umanitarie contemporanee.

Cosa sta succedendo nella Repubblica Democratica del Congo

Da ottobre, il conflitto tra i ribelli dell’M23, il Movimento 23 marzo, e le milizie legate al governo centrale della Repubblica Democratica del Congo si è intensificato nella provincia orientale del Nord Kivu, soprattutto a nord del capoluogo Goma, causando una delle più grandi crisi umanitarie al mondo in termini di sfollati.

L’M23 è uno dei 120 gruppi armati attivi nell’est del paese, le cui azioni violente hanno costretto milioni di persone ad abbandonare le loro case. Le origini del conflitto tra l’esercito congolese e la milizia M23 risalgono alla guerra civile del Ruanda, ed è proprio il paese vicino a supportare la milizia.

La regione orientale della Repubblica Democratica del Congo è una delle più ricche in risorse minerarie tra cui cobalto, coltan, oro e diamanti. In questo momento i ribelli controllano diverse catene di approvvigionamento strategico, che collegano le miniere di Kivu al Ruanda.

Nelle ultime settimane la situazione si è complicata ancora di più. A inizio febbraio l’M23 avrebbe circondato la città di Sake, una tappa cruciale prima di raggiungere Goma, la capitale del Nord Kivu. La conquista di Sake è strategica per bloccare l’avanzata dell’esercito congolese. Mentre i combattimenti continuano, migliaia di persone sono fuggite da Sake sono arrivate a Bulengo, a circa dieci chilometri a ovest di Goma.

A rendere ancora più complesso lo scenario sono le azioni di altre milizie. Il milizia legata al gruppo etnico Lendu, denominata Cooperativa per lo sviluppo del Congo (Codeco) ha attaccato in una miniera d’oro diversi civili della tribù rivale Hema, causando almeno 15 vittime, nella regione di Ituri, a nord di Kivu. La Codeco è tra i gruppi armati congolesi che hanno firmato un accordo di pace l’anno scorso dopo i negoziati a Nairobi, accordo che non sta venendo rispettato.

Dal 1999 al 2003, la provincia dell’Ituri, ricca di oro, è stata teatro di un conflitto tra milizie a base etnica che ha causato migliaia di morti prima dell’intervento di una forza europea. I combattimenti sono divampati nuovamente nel 2017, uccidendo migliaia di civili e provocando sfollamenti di massa.

Le implicazioni regionali

Il Ruanda e l’Uganda hanno un ruolo centrale nel conflitto in corso. La rivalità tra i due paesi è centrale nella crisi della Repubblica Democratica del Congo. Entrambi i paesi supportano attivamente la milizia M23, ma Kampala, oltre a supportare i ribelli, ha in attivo una missione congiunta con Kinshasa contro un altro gruppo di combattenti, le Forze democratiche alleate (Adf), ribelli ugandesi affiliati allo Stato Islamico.

Ci sono anche altri attori che stanno entrando attivamente nel conflitto. Il Sudafrica sta dispiegando un contingente di 2.900 soldati nella Repubblica Democratica del Congo per aiutare a combattere i gruppi armati ribelli. Anche il Malawi e la Tanzania contribuiranno alla missione, che sostituisce la forza regionale dell’Africa orientale che ha lasciato Kinshasa lo scorso dicembre. E proprio due militari sudafricani sono rimasti uccisi e tre feriti da colpi di mortaio contro la loro base nella zona di Kivu.

Sia le Nazioni Unite che l’Unione Africana si dicono preoccupati dell’escalation nel Paese. Nella riunione del 12 febbraio, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha ribadito le condanne alle azioni della milizia M23 e affermato che il Ruanda sostiene i ribelli nel tentativo di controllare vaste risorse minerarie, un’accusa che Kigali nega. Secondo un documento delle Nazioni Unite, l’esercito ruandese sta usando armi sofisticate come missili terra-aria per sostenere l’M23. E Kinshasa ribadisce le accuse sostenendo che Kigali abbia effettuato un attacco con un drone che ha danneggiato un aereo civile all’aeroporto di Goma, capitale della provincia del Nord Kivu.

A nulla sembrano essere serviti gli sforzi del presidente angolano João Lourenço che ha organizzato venerdì 16 febbraio un mini-vertice ad Addis Abeba, sotto l’egida dell’Unione Africana, nel tentativo di rilanciare i colloqui di pace. Lourenço ha tenuto due incontri separati con il presidente ruandese Paul Kagame e il presidente congolese Felix Tshisekedi, da poco rieletto per il suo secondo mandato. Kagame ha addirittura respinto gli appelli di Washington per il ritiro delle truppe e dei sistemi missilistici dalla regione, sostenendo che i propri militari stanno difendendo il Ruanda dal rafforzamento congolese al confine. Tra accuse reciproche e poca volontà di collaborazione, il processo di pace è sempre più lontano, e forse solo gli sportivi riescono a mantenere alta l’attenzione, per lo meno in Occidente, sulla Repubblica Democratica del Congo.

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