Ci sono quasi 7 milioni di sfollati nella Repubblica Democratica del Congo

Dall’inizio di ottobre, il conflitto tra i ribelli dell’M23, il Movimento 23 marzo, e le milizie legate al governo centrale della Repubblica Democratica del Congo si è intensificato nella provincia orientale del Nord Kivu, soprattutto a nord del capoluogo Goma, causando la più grande crisi umanitaria al mondo in termini di sfollati interni, ossia sono

Dall’inizio di ottobre, il conflitto tra i ribelli dell’M23, il Movimento 23 marzo, e le milizie legate al governo centrale della Repubblica Democratica del Congo si è intensificato nella provincia orientale del Nord Kivu, soprattutto a nord del capoluogo Goma, causando la più grande crisi umanitaria al mondo in termini di sfollati interni, ossia sono civili costretti a fuggire da guerre o persecuzioni ma che, a differenza dei rifugiati, non superano i confini, restano all’interno del territorio del proprio Stato.

Secondo l’Organizzazione internazionali per le migrazioni, il numero di sfollati interni è arrivato a 6,9 milioni di persone in tutto il Paese, il numero più alto mai registrato, 1,6 milioni in più rispetto a solo un mese fa.

Dalla fine del 2021, il movimento M23 ha preso il controllo della regione del Nord Kivu, ma la storia del conflitto è molto più lunga.

Le origini del conflitto in Congo

Il conflitto interno trova le sue radici sia nel genocidio del Ruanda che nelle conseguenti due guerre del Congo. In seguito alla guerra scoppiata in Ruanda, le milizie hutu – l’etnia maggioritaria che ha governato il Ruanda dal 1962 fino al genocidio del 1994 – uscite sconfitte dopo lo sterminio di 800mila tutsi e hutu moderati, si riorganizzarono militarmente nella regione orientale della Repubblica Democratica del Congo, allora denominato Zaire, dove avevano trovato rifugio in diversi campi profughi circa un milione di hutu. Nell’ottobre del 1996 le truppe ruandesi entrarono nella regione e, insieme alle milizie dell’Alleanza delle forze democratiche per la liberazione del Congo-Zaire guidate da Laurent-Désiré Kabila, diedero inizio alla prima guerra del Congo che portò all’esilio di Mobuto, l’allora dittatore dello Zaire al potere dal 1965, nel maggio del 1997.

Una volta preso il potere, Kabila ha cercato di cacciare dal territorio le milizie straniere, dando il via alla seconda guerra del Congo, conosciuta anche come African world war. Le truppe ruandesi e ugandesi presenti nel territorio appoggiarono rispettivamente altre due formazioni ribelli congolesi, il Raggruppamento congolese per la democrazia (Rdc) e il Movimento per la liberazione del Congo (Mlc). A sostegno del governo di Kinshasa entrarono nel conflitto anche Angola, Zimbabwe e Namibia, che spinsero le truppe ruandesi e ugandesi a ritirarsi nelle regioni orientali del Paese.

Nell’agosto del 1999 venne proclamato il cessate il fuoco e iniziò la Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione della Repubblica Democratica del Congo Monusco. Gli accordi di pace di Sun City del 2003 portarono all’approvazione di una Costituzione transitoria, alla formazione del governo guidato da Joseph Kabila, figlio di Laurent-Désiré e al ritiro delle truppe ruandesi e ugandesi che, come vediamo oggi, hanno continuato a sostenere da oltre confine la guerriglia delle milizie.

Cos’è il Movimento 23 marzo

L’M23, acronimo di Movimento del 23 marzo, prende il nome da un fallito accordo di pace del 2009 tra il governo congolese e un gruppo di ribelli, ormai defunto, che si era staccato dall’esercito congolese e che nel 2012 aveva preso il controllo di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu. Il gruppo è stato respinto l’anno successivo dall’esercito congolese e dalle forze speciali della Monusco.

Dalla fine del 2021, il gruppo si è impadronito di ampie porzioni di territorio nella provincia del Nord Kivu e si è avvicinato al centro regionale di Goma, spingendo centinaia di migliaia di persone a fuggire dalle proprie case.

L’attuale presidente congolese Felix Tshisekedi accusa il Ruanda di sostenere l’M23, data la presenza tutsi all’interno del movimento. In risposta, il presidente ruandese Paul Kagame, accusa la Repubblica Democratica del Congo e il suo esercito di sostenere le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr), un gruppo di ribelli hutu con base nel Paese che comprende alcuni combattenti coinvolti nel genocidio.

Dall’inizio degli scontri alla fine del 2021, sono diversi i report delle Nazioni Unite e dell’organizzazione per i diritti umani Human rights watch che evidenziano la perpetrazione di crimini di guerra, sia da parte dei ribelli dell’M23 sia da parte delle forze di sicurezza di Kinshasa.

 

Il ruolo dell’Uganda

Le implicazioni regionali del conflitto sono molteplici, in primo luogo per il ruolo dell’Uganda. Secondo il report dell’Africa Center, la rivalità storica tra Uganda e Ruanda è un fattore chiave della crisi attuale nella Repubblica Democratica del Congo e nella regione dei grandi laghi.

Alla fine novembre 2021, l’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo hanno iniziato un’operazione militare congiunta nel Nord Kivu per dare la caccia alle Forze democratiche alleate (Adf), un gruppo armato di ribelli ugandesi affiliato allo Stato Islamico e indicato dal governo statunitense come organizzazione terroristica. 

Nonostante le azioni congiunte ugandesi e congolesi contro l’Adf, le Nazioni Unite sostengono che anche il governo di Kampala sostenga insieme a Kigali i ribelli dell’M23.

Yoweri Museveni
Yoweri Museveni, Presidente dell’Uganda @ Badru Katumba/AFP via Getty Images

La questione delle risorse

Una parte dei combattimenti riguarda il controllo delle vaste risorse naturali della Repubblica Democratica del Congo orientale, tra cui diamanti, oro, rame e legname. Il Paese possiede altri minerali come il cobalto e il coltan necessari per le batterie che alimentano i telefoni cellulari, altri dispositivi elettronici e gli aerei.

Il Paese produce oltre il 70% del cobalto mondiale e detiene il 60% delle riserve di coltan del pianeta. Il già citato rapporto dell’Africa Center ha rilevato che ci sono ampie prove che suggeriscono che le fazioni ribelli sostenute dall’Uganda e dal Ruanda controllano catene di approvvigionamento strategiche, ma informali che partono dalle miniere del Kivu e arrivano nei due Paesi. 

I minerali non sono la causa primigenia del conflitto, ma, di fatto, la questione delle risorse ha portato a benefici economici della guerra stessa.

 

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