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Legambiente e il Cnr di Catania hanno condotto una ricerca sui sacchetti per la spesa bio, scoprendo che circa il 23 per cento di questi è illegale.
Sono passati cinque anni dall’entrata in vigore del divieto di commercializzare sacchetti di plastica, un fiore all’occhiello della normativa ambientale italiana. Il nostro paese è stato il primo in Europa a mettere al bando gli shopper monouso in polietilene nel 2012, ben prima che l’Unione europea adottasse la direttiva sulla riduzione della plastica nei sacchetti per la spesa. Purtroppo, però, le buste illegali, molto simili a quelle regolari e persino con il marchio di compostabilità, sono presenti in massa sul nostro mercato.
Lo ha messo in evidenza una ricerca del Cnr di Catania commissionata da Legambiente e da La Nuova ecologia che ha analizzato, grazie a una tecnica innovativa che rileva la presenza del polietilene, 26 sacchetti “compostabili”, prelevati in altrettanti punti vendita in tutta la penisola. Ben 22 di questi contenevano tracce di polietilene, di cui 6 in quantità decisamente fuori norma. E parliamo di buste che al consumatore sembrano del tutto regolari e conformi allo standard Uni En 13432.
Ci troviamo, insomma, di fronte a una frode vera e propria con risvolti anche di natura ambientale che fa pensare a recenti vicende esplose nel mondo delle auto. In questo caso non è la criminalità organizzata ad agire ma normali aziende produttrici che contraffanno i prodotti che distribuiscono sul mercato. Per questo, abbiamo deciso di segnalare l’episodio all’Antitrust, autorità garante della tutela del mercato e dei consumatori che, ignari di quanto evidenziato grazie all’approfondita metodologia messa a punto dal Cnr di Catania, ritengono di poter riutilizzare i sacchetti per la raccolta della frazione organica.
Il fenomeno comporta un danno grave all’ambiente e all’economia sana e rischia di compromettere l’efficacia della normativa se non verrà fermato. Si consideri che i maggiori costi di smaltimento causati dalla presenza della plastica nell’organico, per colpa di quei sacchetti taroccati che i cittadini ignari della truffa adoperano per raccogliere l’umido, ammontano a 50 milioni di euro.
Fino ad oggi, le grandi catene si sono rivelate attente al rispetto della normativa, ma l’indagine dimostra che non è sempre così facile. Il problema, del resto, non è assolutamente circoscritto ai supermercati; i sacchetti non a norma sono molto frequenti nei mercati scoperti e c’è anche chi vende agli esercenti buste di plastica “per uso interno” che però poi vengono dati ai clienti. Sul fenomeno sta indagando in tutta Italia la Guardia di Finanza di concerto con il ministero dell’Ambiente. Sappiamo, per il momento, che sono stati sequestrati in discount ed esercizi commerciali alimentari oltre 200 mila buste non conformi.
Certo, la questione andrà risolta, e non solo per la salute dell’ambiente e del mare (le buste non compostabili infatti rappresentano un pericolo per le specie marine), ma anche per non fermare il processo virtuoso che è in atto nonostante le illegalità. Il consumo di buste di plastica in Italia sta calando. Sempre più persone utilizzano le sporte riutilizzabili. E questi sono segnali importanti che ci dicono che la strada intrapresa è quella giusta. Anche per questo abbiamo lanciato nei giorni scorsi la campagna #unsaccogiusto per richiamare l’attenzione e la consapevolezza dei cittadini sul problema.
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