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Salvarsi con il verde, nel libro di Andrea Mati le incredibili storie di rinascita di piante e umani
Andrea Mati ripercorre quarant’anni di esperienza nel libro Salvarsi con il verde, attraverso le storie di persone e piante che si sono salvate a vicenda.
Un orto terapeutico in grado di migliorare le capacità relazionali e l’autostima di un gruppo di ragazzi affetti da sindrome di Down; il profumo di un osmanto odoroso capace di salvare dall’abisso della depressione una donna nel suo momento più buio; l’effetto salvifico di una piantina di aloe sul trauma psicologico di una violenza; gli incredibili benefici generati da un ciclamino rosa regalato a una giovane intrappolata nel dramma dell’anoressia. Sono solo alcune delle tante storie raccontate con commovente delicatezza da Andrea Mati nel suo libro Salvarsi con il verde – La rivoluzione del metro quadro vegetale (Giunti Editore), in uscita il 13 aprile.
Salvarsi con il verde, la missione di Andrea Mati
È una testimonianza umana, ancorata su solide basi scientifiche, quella che Andrea Mati ha scelto di condividere nel suo libro Salvarsi con il verde. Un racconto prezioso di chi da quarant’anni collabora con medici, psicologi, geriatri e psichiatri per realizzare giardini dalle specifiche funzioni terapeutiche, avvicinando la natura alle persone che soffrono, in un circolo virtuoso di cura reciproca tra umani e piante. Una missione, più che una professione, nata da un amore sconfinato per la natura, cresciuta grazie alla “capacità di riconoscere la forza della sofferenza propria e altrui” e messa a frutto per aiutare nella cura di tantissime patologie e mali fisici o psichici. Come sindrome di Down, autismo, depressione, Alzheimer e di tutti i tipi di dipendenza, da quella da droghe alla ludopatia fino all’attualissima nomofobia (dall’inglese no mobile phobia che indica l’incapacità di staccarsi dal proprio telefono ndr).
Tutte esperienze maturate da Mati in centri di assistenza per disabili psichici e comunità per il recupero di tossicodipendenti, come San Patrignano, la Comunità Incontro di don Gelmini e il Centro di solidarietà di Pistoia, dove da anni l’autore accompagna nel reinserimento sociale e lavorativo decine di persone in difficoltà, grazie a due cooperative da lui fondate proprio per la progettazione e la coltivazione di giardini. Un impegno basato sulla consapevolezza del “legame inscindibile che esiste tra l’uomo e la natura” e sulla necessità di ripristinarlo per poter salvare noi stessi e il pianeta.
Uomo e natura, un legame indissolubile
Oltre a condividere tanti preziosi ricordi personali, nelle pagine di Salvarsi con il verde Mati ripercorre anche la lunga storia che lega l’essere umano e la cura della sua salute fisica e mentale al rapporto con la natura. Dai giardini zen per la meditazione in Giappone, all’impiego dell’orticoltura e del giardinaggio come pratica per “curare l’anima”; dall’ora et labora monastico, ai giardini islamici basati sui quattro elementi.
Un lunghissimo percorso che approda alle ricerche pionieristiche dell’architetto del paesaggio Roger Ulrich, grande esperto di progettazione dei luoghi di cura in simbiosi col verde e padre della cosiddetta Teoria della riduzione dello stress (Trs), e dei coniugi Kaplan che negli anni Ottanta elaborarono la Teoria della rigenerazione dell’attenzione (Tra), dimostrando “come il rapporto con la natura, che attiva un’attenzione indiretta e priva di ogni sforzo conscio, ha come effetto quello di ristorarci dal nostro affaticamento mentale e farci recuperare capacità cognitive”. Seguendo questo affascinante excursus arriviamo fino ai nostri giorni, all’assenza di verde delle periferie degradate delle città che ha generato un modo di abitare nocivo e completamente distaccato dalla natura, con conseguenze sul benessere psichico e fisico di tante persone.
Salvarsi con il verde, una lettura rigenerante
Animato da una profonda e sincera passione per questi argomenti e da una spiccata sensibilità, Andrea Mati costella la narrazione di citazioni letterarie e filosofiche sul mondo della natura e del suo legame con l’uomo, offrendo una lettura istruttiva, toccante e coinvolgente, e aprendo lo sguardo su cosa sia la vera “biofilia”, la passione per la vita in ogni sua forma.
Chiunque potrà trovare spunti interessanti per migliorare la propria vita e trovare nuovi modi per rigenerarsi grazie al verde. Uno scambio reciproco in cui l’uomo torna a collaborare con la natura, gettando le basi di una nuova rivoluzione. Una rivoluzione che inizia dalla punta delle proprie scarpe e affonda le mani nella terra del metro quadrato che ciascuno ha intorno a sé.
Intervista ad Andrea Mati
Quando e perché ha iniziato a scrivere questo libro?
Ho iniziato circa due anni fa, perché volevo raccontare delle esperienze emozionanti, alcune molto difficili, che hanno segnato tutta la mia vita. Volevo condividere tutto ciò con altri, per trasmettere le cose più importanti che ho imparato in questi anni grazie al mio amore per la natura.
Come mai ha scelto di articolare la narrazione attraverso il ritmo delle stagioni?
La protagonista di questo libro è principalmente la natura. Per questo volevo che le storie delle persone che hanno salvato la propria vita, o l’hanno migliorata grazie alla natura, rientrassero nei suoi fili e fossero scandite dal ritmo delle stagioni.
Questa alternanza è anche un po’ una metafora della vita…
Sì, anche se il libro parla di storie concrete ed è una cronaca di vita e del rapporto tra gli esseri umani e la natura. Il mio desiderio era proprio quello di raccontare come l’interazione con la sua flora e la sua fauna abbia cambiato in modo radicale la vita o alleviato le sofferenze di persone afflitte da problemi o con patologie o sindromi diverse, dall’Alzheimer, alla sindrome di Down o dello spettro autistico. Un percorso che ho potuto seguire in questi anni grazie alla collaborazione con equipe mediche di psicologi e di esperti.
Come ha scelto, tra le tante, le storie da raccontare?
Sono tutte storie vere e molto belle che ho vissuto e sto vivendo personalmente. Ho cambiato i nomi dei protagonisti e alcune situazioni, perché non volevo che le persone si riconoscessero. Ho scelto storie esemplari che potessero essere i campioni rappresentativi di tantissime altre.
Nel libro si parla della rivoluzione del metro quadro verde. Di cosa si tratta?
Tutti noi dobbiamo prendere atto del fatto che la nostra vita è inscindibile e interconnessa a quella del pianeta. A partire da questa presa di coscienza dobbiamo iniziare ad agire concretamente “nel nostro metro quadro”, per migliorare le condizioni di salute della Terra, che sono disastrose. Spesso attendiamo che il mondo cambi attraverso una rivoluzione politica o un cambiamento mondiale. Protestiamo e ci indigniamo perché le cose cambino e la natura sia protetta, ma poi ci dimentichiamo nel nostro privato di fare qualcosa di concreto. Salvare la natura significa salvare noi stessi. Io questa cosa l’ho vista personalmente. Ho visto tante persone che stavano morendo salvare se stesse salvando spazi verdi che a loro volta stavano soffrendo. Parlo di giardini pubblici, piccoli orti e piante sui terrazzi…
Un progetto che va in questa direzione è quello dei Giardini della riconnessione, nato in collaborazione con LifeGate. Ci racconta di cosa si tratta?
È una nuova declinazione dei giardini terapeutici, con i quali da tanti anni mi occupo del recupero di persone affette da patologie e dipendenze in sinergia con la comunità medica. Durante la pandemia ho riflettuto a fondo sulla necessità di andare alla radice delle sofferenze umane e ho chiesto a un gruppo di professionisti (tra cui psichiatri, psicologi e geriatri) quali fossero i mali più gravi che affliggono l’umanità in questo periodo così complesso. Tutti sono stati concordi nell’individuare cinque mali più uno, che sono all’origine della nostra sofferenza e che generano malattie varie, inclusi tumori e malattie psichiche. Questi mali sono: l’ansia e la depressione, i disturbi alimentari, l’incapacità di elaborare un lutto, il disturbo dell’attenzione e il disturbo evitante (cioè la solitudine patologica). A questi si aggiunge il progressivo allontanarsi dalla natura che li racchiude tutti ed è alla base del male del secolo, cioè la depressione, come sostenuto anche dallo psicanalista e filosofo James Hillman, allievo di Jung. Pensando a questi argomenti ho studiato sei spazi verdi dove è possibile curare ciascun disturbo e migliorare la propria vita, anche in modo preventivo.
Quando si parla di riconnessione con la natura spesso si rischia di imbattersi in equivoci. Cosa significa davvero?
Io penso che la riconnessione con la natura possa avvenire solo in modo esperienziale, cioè se noi ci impegniamo direttamente ad affondare le mani nella terra e a prenderci cura di piante, animali e tutto ciò che vive con noi su questo pianeta. Il grande frainteso a volte è dovuto al fatto che la riconnessione con la natura sia vista attraverso la tecnologia, magari con un bel documentario guardato sul tablet o un film visto al cinema. Questa non può essere la rivoluzione del metro quadro verde. La natura può salvarci solo se interagiamo direttamente con lei, non rimanendo passivi a osservarla, ma muovendo le nostre mani, la nostra testa e andandole incontro.
A proposito di tecnologia, la riconnessione col verde può salvarci anche dall’ansia patologica generata dalla dipendenza da essa che oggi colpisce molti ragazzi?
Sì, nel libro c’è una storia che parla proprio di questo. S’intitola Una quercia caduta e la nomofobia e racconta di una ragazzina che era vittima dei social e trascorreva la sua vita perennemente connessa allo smartphone e che si è liberata da questa dipendenza grazie ad una quercia del suo giardino. È una vicenda che testimonia quello che abbiamo fatto in questi ultimi anni: abbiamo applicato una griglia al pianeta, cercando di assoggettarlo alle nostre esigenze più pigre. Per non sforzarci di usare la nostra mente, le nostre braccia e le nostre gambe, ci affidiamo a immagini che ci mostrano un mondo falso, proposto da altri e da cui veniamo profondamente influenzati. Io trovo tutto questo estremamente negativo e pericoloso, soprattutto perché ritengo che la nostra memoria sia sempre più sostituita da una memoria digitale, dove i dati sono inseriti da altre persone che spesso approfittano di questo potere per dominare, rendendo le persone sempre meno obiettive. Per uscire da questo loop dobbiamo riconnetterci con la natura, magari decidendo di dedicare qualche ora in meno al nostro smartphone e usarla per accudire una pianta, un’aiuola o un piccolo orto. Ritrovare la sintonia con i cicli della natura porta una grande libertà e ci permette di capire il valore della vita, accettando anche la morte come parte della vita stessa. Chi ha rispetto per la vita vive meglio e protegge se stesso e le future generazioni.
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