Tra siccità e spreco di acqua: a che punto è l’adattamento?

Mentre il nordovest italiano soffre la siccità, sprechiamo tanta acqua raccolta nei bacini. Ora il governo annuncia nuove azioni, ma i piani c’erano già e sono rimasti lettera morta.

  • Mentre la Pianura padana soffre la sete, al sud si sversa in mare l’acqua dei bacini.
  • Oggi recuperiamo tramite invasi solo l’11 per cento dell’acqua piovana.
  • Tre milioni e mezzo di italiani senza acqua nel rubinetto, ora il governo si muove.

Per almeno 3,5 milioni di italiani, l’acqua dal rubinetto non può più essere data per scontata. È la stima contenuta nell’ultimo bollettino dell’Osservatorio sulle risorse idriche dell’Anbi, l’associazione dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e acque irrigue, nell’ultimo bollettino del 23 febbraio. “È la dimostrazione del clamoroso errore, che fa chi ritiene la siccità un problema prettamente agricolo, pur essendo il settore primario e la sovranità alimentare, i primi ad esserne minacciati” ha commentato il presidente dell’Anbi, Francesco Vincenzi.

Nella stessa giornata, il governo ha risposto annunciando per il primo marzo il primo incontro interministeriale per l’emergenza siccità, con il quale l’esecutivo “intende affrontare quella che potrebbe rivelarsi un’emergenza, tenendo conto della scarsa percentuale di impegno delle risorse idriche effettivamente disponibili e della necessità di abbattere i tempi per opere che riducano la dispersione idrica e permettano la pulizia dei bacini”. Il tavolo valuterà le iniziative per varare un piano di interventi a breve scadenza e una programmazione a medio-lungo termine.

Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, nel giro di poche ore ha rincarato l’allarme: “Può anche darsi che su alcuni territori sia fondamentale arrivare a una razionamento dell’acqua“. Aggiungendo poi: “Serve un ragionamento integrato, che significa avere acqua da bere, acqua per irrigare e per produrre energia. Questo governo ha intenzione di presentare un piano idrico nazionale”. Che preveda anche “un commissario super partes, che abbia pieni poteri e dica a regioni ed enti: ‘Serve acqua, aprite le dighe'”.

Che cosa sta succedendo in Italia?

Le Alpi con poca neve, la pianura Padana a secco, i fiumi e i laghi del centro Italia anche loro in difficoltà. E poi, di contro, un sud Italia che di acqua ne ha in abbondanza. Gli eventi meteorologici di questo inverno hanno creato una situazione particolare per l’Italia, quasi spaccata in due: siccità nelle regioni settentrionali, con previsioni che sfiorano il drammatico per l’agricoltura, e un Mezzogiorno che invece dovrebbe arrivare all’estate senza soffrire particolarmente il problema.

Secondo l’Osservatorio sulle risorse idriche dell’Anbi, in Puglia lo scorso 16 febbraio si registrava un ulteriore incremento dei volumi trattenuti negli invasi, il cui surplus sul 2022 era salito a 82,49 milioni di metri cubi. Resta saldamente in attivo anche il bilancio idrico nei bacini della Basilicata, dove è già iniziata la stagione irrigua come confermato da un calo settimanale di oltre 4 milioni di metri cubi.

La Sicilia, a macchia di leopardo 

Mentre la Sicilia, caratterizzata negli ultimi mesi da una situazione pluviometrica “a macchia di leopardo” e penalizzata da una deficitaria condizione infrastrutturale, la situazione è molto variegata: a inizio febbraio, i bacini dell’isola contenevano complessivamente il 38 per cento dell’acqua immagazzinabile negli invasi, circa 200 milioni di metri cubi rispetto al 2022, nonostante settimane percepite come piovose.

In realtà, sottolinea l’Osservatorio, le piogge non sono state omogenee: sulle province di Enna e Palermo ha piovuto poco, mentre i nubifragi che hanno interessato principalmente la zona sudorientale dell’isola hanno allagato le province di Siracusa, Catania e Ragusa, facendo tracimare fiumi (Anapo e Dirillo), causando frane e provocando danni a strutture produttive, fabbricati, infrastrutture, monumenti. Eventi che richiederebbero interventi seri di mitigazione.

Quell’alta pressione che non va via

Il nord a secco, il sud che non soffre, dunque. Tutta colpa della crisi climatica? No, naturalmente i dati ci inchiodano al fatto che le temperature medie siano in aumento non solo in tutta Italia ma in tutta Europa, e mostrano anche il gennaio 2023 ha confermato la situazione registrata durante tutto l’anno 2022, evidenziando scostamenti rispetto alla media storica delle precipitazioni del mese con valori superiori al 75esimo percentile.

Però il fatto che nel Norditalia ci sia siccità e al Sud no è più che altro una congiuntura, spiega Luca Brocca, direttore del gruppo di idrologia del Cnr: “La circolazione atmosferica che porta le precipitazioni sono registrate su una piccola scala, che può essere nazionale, ma per le analisi a livello climatico si usano scale più larghe: possiamo fare analisi tra nord e sud Europa, non Nord e Suditalia. La configurazione attuale è legata al fatto che al sud ci sono stati eventi ciclonici in Sicilia che hanno portato a enormi precipitazioni”. Sebbene lo stesso aumentare della frequenza di tali eventi ciclonici suggerisca che qualcosa stia cambiando.

Tutta quell’acqua sprecata

Tra la Puglia e il Molise, all’inizio del mese, è avvenuto un fatto paradossale: 40 milioni di metri cubi di acqua sono stati sversati in mare per il timore che la diga di Occhito, giunta quasi all’orlo della capienza (250 milioni di litri) traboccasse in seguito alle piogge previste a partire da domenica.

Ma perfino in Val d’Aosta, in quel nord assetato di acqua, è successo che a causa delle alte temperature la neve non ha attecchito sulle Alpi, trasformandosi in acqua che ha innalzato la portata della Dora Baltea, passata da 18 a 30 metri cubi al secondo: acqua che è finita in mare senza poter essere recuperata e riutilizzata a fini irrigui. “Una ricchezza che, pur ristorando beneficamente il territorio, fluisce inutilizzata verso il mare, disperdendo una risorsa, che ci già ci sta mancando” sottolinea Francesco Vincenzi, Presidente di Anbi.

E che fotografa perfettamente il problema in vista dell’estate, spiega Marina Baldi, climatologa del Cnr: “Su tutto l’arco alpino attualmente la neve è dimezzata. E aldilà della siccità di oggi, che impatta sull’agricoltura e sul turismo, la neve è la nostra riserva d’acqua per l’estate, quando si scioglie e finisce a valle”. Per questo, a meno di grosse precipitazioni da qui a giugno “che però dovrebbero essere costanti, non forti e limitate nel tempo come è avvenuto ultimamente”, il centronord sarà più in difficoltà del sud anche nei prossimi mesi.

A che punto siamo con l’adattamento?

A questo punto, oltre alla mitigazione, l’altro problema è dunque quello dell’adattamento. Il governo adesso annuncia un piano d’azione, ma in realtà gli strumenti c’erano già.  I principali, a monte del piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico, sono il Piano nazionale invasi, di cui il governo nel 2019 ha autorizzato il primo stralcio per 57 interventi di progettazione per una spesa di 260mila euro, e il Piano laghetti approntato da Anbi e Coldiretti, e che sfruttando anche i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede la realizzazione di 10mila bacini artificiali entro il 2030 (al momento sono solo 223 i progetti partiti).

In entrambi i casi si tratta di soluzioni per il recupero, l’immagazzinamento dell’acqua piovana e il successivo riutilizzo: basti pensare che oggi l‘Italia recupera appena l’11 per cento dell’acqua proveniente dalle precipitazioni, e che l’obiettivo finale del piano è arrivare al 60 per cento. “Si tratta di soluzioni definitive ed esecutive, cioè immediatamente appaltabili, per aumentare la resilienza dei territori” ribadisce Vincenzi dell’Anbi, parlando del piano laghetti. “Chiediamo un tavolo al governo per definire un piano di finanziamenti con risorse già disponibili e che aspettano solo le scelte della politica”.

A proposito di sud, c’è un caso che fa scuola, ed è la Sardegna: storicamente afflitta da mancanza di acqua, l’isola oggi è in grado di trarre tre quarti del proprio fabbisogno da un sistema di dighe e bacini che possono contenere fino a 1,8 miliardi di metri cubi di acqua, e smistarla attraverso 200 chilometri di canali e 50 impianti di pompaggio. L‘ultimo bollettino mensile riporta che al 31 gennaio 2023 erano presenti nel sistema degli invasi 1.398 milioni di metri cubi d’acqua, pari a circa il 76,7 per cento del volume utile di regolazione autorizzato, con un incremento pari a 300 milioni di metri cubi, rispetto al 31 dicembre. Insomma: si può fare.

Si può anche lavorare, aggiunge Marina Baldi, “a ridurre il fabbisogno di acqua in tutti i settori,  incrementare il riuso, per esempio quello delle acque reflue dell’agricoltura. E poi lavorare sulla manutenzione delle infrastrutture che già ci sono” come gli acquedotti che perdono una enorme quantità dell’acqua trasportata: nel 2020, secondo l’stat, sono andati dispersi 900 milioni di metri cubi, pari al 36,2 per cento dell’acqua immessa in rete, con una perdita giornaliera per pari a 41 metri cubi per ogni chilometro di reti.

Ma sono discorsi, sottolinea la ricercatrice del Cnr “che vanno fatti a lungo termine: serve un piano di 20-30 anni, a tappeto su tutto il territorio nazionale: non si può interrompere ogni lavoro a ogni cambio di governo come avviene da 50 anni. E soprattutto, servono opere che guardino a tutto il Paese: non possiamo, per fare un esempio, tralasciare la Sicilia solo perché quest’anno lì ha piovuto e al nord no”.  Perché magari l’anno prossimo la situazione potrebbe invertirsi.

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