
Sviluppare le ciclovie lungo i corsi d’acqua può aiutare a valorizzare interi territori. Nel nostro Paese c’è un potenziale di ben 200mila chilometri.
Le stazioni giocano un ruolo fondamentale nella mobilità del futuro: potenzialità e prospettive al centro della Conferenza nazionale sulla sharing mobility
Da tradizionali luoghi di arrivi e partenze dei treni a veri e propri hub della mobilità sostenibile. Centri nevralgici delle città concepiti per offrire ai viaggiatori un’ampia gamma di soluzioni di trasporto, fisicamente e digitalmente integrate tra loro, e capaci di creare un connubio tra mobilità tradizionale e sharing mobility. L’evoluzione delle stazioni è già in atto da anni, e tante altre novità sono all’orizzonte nel prossimo futuro. Il tema è stato al centro del convegno virtuale “Le stazioni ferroviarie come hub della mobilità”, organizzato nell’ambito della VI Conferenza nazionale sulla sharing mobility. In quello che si annuncia come un cambiamento epocale, gli attori in gioco sono numerosi: si va dagli operatori di mobilità condivisa tradizionali (treno, trasporto pubblico, taxi) a quelli di sharing mobility, fino alle amministrazioni locali; tutti sono chiamati a collaborare e a fornire il proprio contribuito per offrire ai cittadini soluzioni “seamless”, continue e senza interruzioni.
A partire, ovviamente, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che recentemente ha fissato i criteri per la ripartizione di 137 milioni di risorse per la realizzazione di ciclovie in favore di città metropolitane, capoluoghi di città metropolitana, provincia o regione, comuni con popolazione residente superiore ai 50mila abitanti e comuni in cui abbia sede un’università; di queste, 4,2 milioni sono specificatamente destinati alla realizzazione di piste ciclabili che colleghino le università con le principali stazioni ferroviarie. Si tratta, ha spiegato Angelo Mautone, di “un progetto sperimentale sul quale il Ministero punta con decisione, che ci auguriamo possa funzionare da apripista per dare vita a un piano ancora più organico”. Una scelta accolta con favore da Rete Ferroviaria Italiana (RFI): Luigi Contestabile è convinto che la sperimentazione “avrà un grande successo, perché l’80 per cento delle università italiane è distante non più di tre chilometri da una stazione”.
RFI, ha spiegato Contestabile, è al lavoro su un concept di stazione che “non è più solo un punto di accesso al sistema ferroviario ma un luogo della città, un polo di servizi e non solo di trasporto”. Un nuovo ruolo, insomma, “che si estende anche oltre gli spazi consueti, all’interno della città; di fatto, la stazione è parte della città e per funzionare nel migliore dei modi deve essere in armonia con lo spazio urbano”. Al centro di tutto c’è il tema della condivisione: “L’intermodalità è una questione multilaterale, da solo nessuno riesce a realizzarla; è necessaria una piattaforma condivisa a livello culturale, tecnologico e di spazi da ripensare in una nuova chiave”.
Già, gli spazi: “App e tecnologie sono importanti, ma resta fondamentale liberare spazi nel cuore delle città, da sottrarre alle auto private in favore dei pedoni, dei mezzi pubblici, della ciclabilità, dello sharing e delle colonnine di ricarica per i mezzi elettrici”. Una stazione, in sostanza, “funziona bene solo se è ben collegata al territorio”. E la sfida è enorme, se si pensa che l’Italia ne conta 2.200. “Il problema è che molte di queste – ha proseguito Antonello Martino di RFI – pur molto belle e nel cuore del tessuto urbano, spesso non dialogano con la città: ci stiamo quindi allargando verso le aree esterne, confrontandoci con i comuni e le regioni e proponendo importanti interventi di riqualificazioni di spazi che un tempo non avremmo considerato”.
Per Anna Parasacchi, coordinatrice del Green City Network, questi nuovi sistemi progettuali “possono avere importanti impatti anche sulla mitigazione dei cambiamenti climatici, mentre attraverso la riqualificazione degli spazi architettonici e urbani si possono trasformare le stazioni in vere e proprie vetrine delle città, che in molti casi – si pensi a Firenze – introducono direttamente nel tessuto storico delle capitali d’arte”. La città metropolitana di Bologna, ad esempio, si è dotata di un Piano urbano della mobilità sostenibile che mette al primo posto la vivibilità e la qualità della vita, insieme alla salubrità dell’aria e alla sicurezza degli spostamenti. I 30 centri di mobilità, ha spiegato Lorenza Dell’Erba, raccordano in unico nodo diverse modalità di trasporto e sono prevalentemente collocati in corrispondenza delle stazioni; 9 insistono nel capoluogo e 21 nel territorio metropolitano, e ben 14 sono attraversati da ciclovie.
Luca Montuori assessore all’urbanistica di Roma Capitale, ha invece descritto il progetto dell’anello verde, una rete naturalistica e ambientale che riconnette la città con il paesaggio e i suoi spazi pubblici attraverso i nodi dell’anello ferroviario, puntando con decisione sull’interconnessione con la mobilità dolce: “Ambiente, accessibilità, rigenerazione urbana, sostenibilità, ascolto e partecipazione e visione condivisa, sono i pilastri di una strategia d’insieme che integra sviluppo delle infrastrutture e sviluppo urbano; e che coniuga l’unicità dei nostri paesaggi con gli indirizzi che le più importanti capitali del mondo, si stanno dando per favorire lo sviluppo sostenibile delle città”.
Per dirla con le parole di Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e vicepresidente dell’Anci, “una delle poche certezze che ci lascia l’emergenza Coronavirus è che il nuovo modello di sviluppo della mobilità ne esce rafforzato”. Questo perché – ha evidenziato nel suo intervento finale – la risposta “alle difficoltà alle quali andrà incontro il trasporto pubblico nei prossimi mesi non potranno essere risolte con un massiccio utilizzo dell’auto privata, ma con una nuova visione delle città che riguardi la mobilità insieme all’urbanistica”. Quella attuale è “la prima generazione di assessori che non programma più l’espansione delle città ma la trasformazione urbana, perché è ormai chiaro a tutti che non possiamo consumare ulteriore territorio”. Una trasformazione nella quale le stazioni giocano, e continueranno a giocare nel prossimo futuro, un ruolo di primissimo piano.
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