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Svizzera, la centrale nucleare più vecchia al mondo per ora non chiuderà
I cittadini svizzeri hanno votato contro la chiusura anticipata di due centrali, una delle quali ospita il reattore nucleare più vecchio del mondo.
Gli elettori svizzeri si sono pronunciati ieri in merito alla possibilità di accelerare l’uscita dal nucleare, chiudendo tre dei cinque reattori presenti nel paese già nel corso del prossimo anno. L’iniziativa referendaria, promossa dai Verdi e dalla sinistra, proponeva infatti di limitare a 45 anni la durata massima in servizio di ciascun reattore.
I sì alla chiusura oltre il 45 per cento
A votare a favore è stato il 45,77 per cento degli elettori, contro il 54,23 di cittadini contrari ad anticipare l’addio all’atomo (anche se in realtà come le città di Basilea e di Ginevra, i sì hanno vinto con oltre il 60 per cento). L’affluenza alle urne è stata in ogni caso scarsa – pari a meno del 45 per cento – perché in gioco non c’era l’avvenire del nucleare in Svizzera, ma unicamente il calendario di chiusura dei cinque reattori, che ancora oggi forniscono circa un terzo dell’energia elettrica consumata nella nazione alpina.
All’indomani della catastrofe di Fukushima, le autorità elvetiche avevano in effetti deciso di abbandonare l’atomo. Il problema è che non sono state indicate date certe. Non a caso i Verdi si sono domandati durante la campagna referendaria “se occorra aspettare un incidente” per decidere definitivamente quando saranno chiuse le centrali.
Una domanda per nulla retorica, se si tiene conto che ad esempio il sito di Beznau, situato nel cantone settentrionale di Aargau, non lontano dalla frontiera con la Germania, è in servizio ormai da ben 47 anni. Si tratta della più vecchia centrale nucleare del mondo, dopo la chiusura del reattore di Oldsbury, nel Regno Unito, disposto nel 2012.
Il governo contrario ad anticipare l’addio al nucleare
Se il sì avesse vinto, anche la centrale di Muhlberg – attiva dal 1972 nel cantone di Berna – sarebbe stata bloccata. Mentre si sarebbero salvati i siti atomici di Gosgen e di Leibstadt, in servizio rispettivamente dal 1979 e dal 1984. Soprattutto, il sistema di produzione elvetico avrebbe potuto accelerare la propria transizione: ad oggi circa il 60 per cento nell’energia elettrica svizzera proviene da centrali idroelettriche, un terzo dal nucleare e solamente poco più del 4 per cento da eolico e solare.
Il governo, contrario all’accelerazione dell’uscita dal nucleare, ha accolto il no con soddisfazione. Il ministro dell’Ambiente Doris Leuthard, in particolare, si è detta “sollevata”. Al contrario il deputato socialista Roger Nordmann ha sottolineato il buon risultato raggiunto in termini percentuali: “La popolazione non sostiene l’atomo”. “Siamo contenti dell’ampio sostegno che è stato dato alla nostra iniziativa”, gli ha fatto eco la presidente dei Verdi, Regula Rytz.
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