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La passione giapponese per la carne di cavallo cruda ha un prezzo altissimo in termini di crudeltà inferte agli animali. La denuncia degli attivisti.
La specialità tipica della città giapponese nella città di Kumamoto difficilmente compare nei menu dei ristoranti etnici occidentali. Si tratta del basashi, sashimi di carne cruda di cavallo immersa nella salsa di soia e servita con zenzero grattugiato. Dietro quella che viene considerata come una prelibatezza, però, si celano le indicibili sofferenze dei cavalli vivi costretti ad affrontare decine di ore di volo, rinchiusi in casse anguste senza cibo né acqua.
Considerati gli alti costi legati all’allevamento di cavalli, una percentuale compresa tra il 25 e il 40 per cento della carne consumata in Giappone deriva da animali importati. È quanto riporta il quotidiano Guardian, citando una ricerca della società di consulenza Williams & Marshall Strategy. Stando ai dati del 2019, questo business è dominato dal Canada col 71 per cento delle importazioni. Dal 2013 al 2020 circa 40mila cavalli vivi hanno viaggiato dal Canada occidentale al Giappone, per un giro d’affari medio di almeno 6,5 milioni di euro l’anno. Il picco è stato raggiunto nel 2014 con 7.111 cavalli, per poi scendere progressivamente fino ai 1.606 del 2020.
Più di recente si è aggiunta la Francia che ha iniziato nel 2017 con 80 cavalli vivi e nel 2019 è arrivata a 959, cifra che corrisponde al 21 per cento delle importazioni. Stando a un report dell’associazione Eurogroup for animals, però, le regolamentazioni vigenti in Europa sono ancora molto lacunose in termini di tracciabilità e benessere di tali animali.
È proprio sul fronte del benessere animale che emergono tanti, troppi punti oscuri. Negli ultimi anni sono state diffuse sui social media alcune riprese video che hanno scatenato l’indignazione da parte degli attivisti e non solo. “Da veterinario, non mi piace quello che ho visto”, ha dichiarato al Guardian Judith Samson-French dopo tre viaggi all’aeroporto di Calgary per valutare la situazione di persona. “Questi cavalli non sono stati addestrati né messi nelle condizioni per questo tipo di trasporto”.
Gli animali vengono rinchiusi a gruppi di tre o quattro in casse di legno da cui è visibile soltanto la testa. Casse che avrebbero le dimensioni giuste per contenerne al massimo uno, a detta dell’associazione animalista Canadian horse defence coalition che parla di condizioni “disumane”. A quel punto li attende un viaggio che dal Canada richiede circa 22 ore; il limite massimo considerato accettabile dalla legge è di 28 ore.
Il volo di per sé ne dura da 10 a 13, un lasso di tempo durante il quale i cavalli restano senza cibo, acqua né la possibilità di dormire in una posizione comoda. Non è raro che restino feriti e dal 2013 ne sono già morti cinque. Una volta atterrati in Giappone, devono restare in quarantena per 10 giorni prima di essere condotti agli allevamenti, dove vengono messi all’ingrasso per diversi mesi e poi macellati. Da qui la petizione con cui la Canadian horse defence coalition chiede al parlamento canadese di porre fine una volta per tutte a questa crudele pratica.
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