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Stati Uniti e Unione europea negoziano segretamente per raggiungere un accordo di libero scambio che potrebbe minacciare la salute pubblica e l’ambiente. Si chiama Ttip.
Il Partenariato translatlantico sul commercio e gli investimenti, o Ttip dall’inglese Transatlantic trade and investment partnership, è un accordo di libero scambio che Stati Uniti (Usa) e Unione europea (Ue) stanno negoziando, perlopiù segretamente, dal giugno del 2013. Dopo più di dieci anni di discussioni preparatorie. L’obiettivo del trattato è creare un mercato comune che semplifichi i rapporti economici tra le parti. Gli strumenti principali sono: la riduzione dei dazi doganali sulle merci, sui servizi e sugli appalti pubblici gestiti da aziende multinazionali che operano negli Stati Uniti e nei paesi dell’Unione europea; la semplificazione e l’uniformità delle norme commerciali in vigore attraverso l’adozione di nuove leggi che eliminino le differenze. Finora si sono tenuti tredici incontri (round) di negoziati. L’ultimo a New York, negli Stati Uniti, dal 25 al 29 aprile. Il prossimo è a giugno.
Chi è contrario a questa logica di mercato ha paura che dietro la semplificazione e l’armonizzazione delle norme ci sia in realtà la volontà di “indebolire i processi decisionali democratici a vantaggio delle multinazionali”, come riportato dal settimanale tedesco Der Spiegel. Un tentativo di tutelare maggiormente gli interessi delle aziende, a scapito dei lavoratori e dei consumatori. La Germania è uno dei paesi europei dove il fronte contrario al Ttip è più attivo. Il 10 ottobre 2015 per le strade della capitale Berlino hanno manifestato circa 150mila persone aderenti a sindacati, organizzazioni ambientaliste e per i diritti umani. Non è dunque un caso se alcuni attivisti dell’organizzazione non governativa Greenpeace abbiano deciso di proiettare alcune parti riservate del trattato (svelate il 2 maggio in un dossier di 248 pagine, Ttip leaks, realizzato dalla sezione olandese dell’ong) proprio sulla facciata del parlamento tedesco. I documenti contengono riferimenti al cibo, ai cosmetici, all’agricoltura e ai pesticidi, alle telecomunicazioni.
Do you agree that the remaining #TTIP documents should be released? #TTIPleaks
— Greenpeace Nederland (@GreenpeaceNL) 2 maggio 2016
Su questi temi, gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno norme molto diverse. Tra i paesi che fanno parte dell’Ue – così come nell’ambito delle Nazioni Unite – vige il principio di precauzione, cioè la necessità di agire per salvaguardare l’ambiente e la salute anche quando non c’è ancora la certezza scientifica, ma le minacce sono evidenti. Il principio di precauzione, ad esempio, ha portato all’adozione della storica Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), nel 1992. Molti anni prima rispetto a quando questo tema è diventato popolare e oggetto di numerosi studi internazionali.
Questo principio, non previsto dall’iter legislativo americano, prevede che un prodotto potenzialmente pericoloso possa essere escluso dal mercato. Per questo la Commissione europea ha rinviato il rinnovo dell’autorizzazione dei diserbanti contenenti glifosato perché gli studi scientifici non sono concordi nel ritenerlo sicuro. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (International agency for research on cancer, Iarc) che fa capo all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) lo ha persino definito “probabilmente cancerogeno”. Stessa sorte per le colture ogm, cioè di organismi geneticamente modificati, vietate in molti paesi europei perché secondo alcuni esperti sono dannosi per la salute. Gli Usa vorrebbero che l’Europa superasse questa “barriera” commerciale. Una barriera che, nei fatti, protegge i consumatori.
Un’altra questione che sta facendo arretrare l’Ue, e quindi rallentare i negoziati, è quella sul sistema di risoluzione delle controversie sugli investimenti (Investment court system, Ics) che prevede la possibilità per le aziende di far causa agli stati e portarli davanti a un collegio arbitrale, un tribunale terzo. Per i favorevoli, questa clausola rappresenta un meccanismo per proteggere gli investitori stranieri dalle discriminazioni o dal trattamento iniquo da parte dei governi, per proteggere l’occupazione e aumentare le esportazioni. Chi è contrario a questo sistema – compresi alcuni governi – pensa che scavalcare la giurisdizione nazionale sia dannoso per la democrazia perché rischia di ostacolare qualsiasi progetto di legge che vada contro gli interessi delle multinazionali. Una semplificazione al ribasso, dunque, da cui i cittadini non trarrebbero nulla di positivo.
Questo sistema di risoluzione delle controversie sugli investimenti è già presente in un altro partenariato, quello tra Unione europea e Canada (Accordo economico e commerciale globale, Ceta), che è stato chiuso nell’agosto del 2014 e che ora deve essere approvato dai governi per entrare in vigore. Probabilmente nel 2017. Il Ceta è molto simile al Ttip, ma ha provocato meno proteste perché non è stato tenuto segreto e perché gli standard a tutela dei cittadini (europei e canadesi) sono simili. Nonostante questo, l’Independent ha definito il Ceta una minaccia “alla battaglia contro i cambiamenti climatici” perché le clausole che tutelano lo sviluppo sostenibile non si applicano al settore minerario, energetico e dei trasporti. E il Canada estrae petrolio dalle sabbie bituminose attraverso tecniche devastanti per la salute del pianeta (vedi la questione Keystone XL).
Proprio la lotta ai cambiamenti climatici è uno dei punti che più “spaventa” i paesi europei e porta i negoziati verso un binario morto. L’Accordo di Parigi “non avrebbe avuto alcun senso” se poi a questo ne seguisse “un altro che lo distruggerebbe”, ha dichiarato Matthias Fekl, a capo della delegazione francese che segue le trattative sul Ttip, in un’intervista a radio Europe 1. Il testo, sempre secondo i documenti svelati da Greenpeace, non fa alcun riferimento alla riduzione delle emissioni di CO2.
In sostanza, anche se il presidente americano Barack Obama così come la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno di recente dichiarato di voler chiudere l’accordo entro l’anno, il Ttip potrebbe subire un rallentamento dovuto alla sproporzione delle concessioni che Bruxelles dovrebbe fare a Washington. “Noi non siamo per il libero scambio senza regole. Non accetteremo mai la messa in discussione dei principi essenziali per la nostra agricoltura, per la nostra cultura, per la reciprocità nell’accesso al mercato pubblico”, ha detto il presidente francese François Hollande in un discorso tenuto pubblicamente il 3 maggio.
La mobilitazione dei cittadini contro il Ttip ha reso gli europei più consapevoli di ciò che potrebbero essere i benefici, ma soprattutto i rischi di questo accordo transatlantico. Forse non sarà sufficiente per fermarlo, ma c’è tempo e spazio sufficiente per correggere lo sbilanciamento verso la costa americana. Tempo per coinvolgere i gruppi sociali, spazio per rendere accessibili i documenti. Anche perché senza l’appoggio di tutti i parlamenti europei – e degli stessi cittadini nel caso in cui alcuni paesi decidessero di indire un referendum – l’accordo non potrà entrare in vigore.
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