L’amministrazione Usa ha sospeso le domande per l’immigrazione delle persone provenienti da 19 paesi. Nel frattempo vanno avanti le retate nelle città.
L’Uganda, uno dei paesi più poveri al mondo, è anche uno dei primi per numero di rifugiati sul suo territorio. E adesso accoglie duemila profughi afgani.
L’Uganda è uno dei paesi più poveri al mondo: nella classifica stilata dal Fondo monetario internazionale in base al pil, nel 2019 il paese africano risultava al 178esimo posto su 193 stati. Nonostante le difficoltà economiche, la nazione africana vanta un importantissimo primato: è uno dei primi paesi al mondo per numero di rifugiati accolti sul suo territorio. E in queste ore di apprensione globale per migliaia di cittadini afgani in fuga dalle forze talebane, l’esecutivo di Kampala si è mostrato nuovamente sensibile al tema dei rifugiati dichiarandosi pronto ad accogliere duemila cittadini in fuga da Kabul.
Il 25 agosto è atterrato all’aeroporto di Entebbe, a sudovest di Kampala, il primo volo proveniente dall’Afghanistan con a bordo 51 persone sfuggite al governo talebano. Ai profughi è stato concesso l’asilo temporaneo e ad accogliergli è stata l’ambasciatrice americana in Uganda, Natalie Brown.
Brian George, capo della missione degli affari pubblici degli Stati Uniti, ha espresso apprezzamento per la generosità dell’Uganda, dichiarando ai microfoni dell’emittente Voa: “Il governo dell’Uganda ha dimostrato ancora una volta la volontà di fare la sua parte in questioni di interesse internazionale. Lodiamo i suoi sforzi e quelli delle organizzazioni locali e internazionali in Uganda che stanno fornendo supporto umanitario”.
Il paese “dei grandi laghi”, mostrando disponibilità e volontà nell’accogliere i rifugiati provenienti dall’Afghanistan, dichiara esplicitamente di voler proseguire con la politica di accoglienza che l’ha portato ad ospitare sul suo territorio oltre un milione e mezzo di rifugiati provenienti soprattutto dal Sud Sudan e dal Congo.
L’esecutivo di Kampala in questi anni non solo ha garantito un futuro a centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini in fuga da conflitti decennali e feroci, ma ha dato vita anche a un modello di accoglienza unico a livello planetario. Il sistema di accoglienza messo in campo dal governo ugandese, con l’appoggio di diverse organizzazioni non governative internazionali, prevede che i profughi, dopo il loro ingresso in Uganda, vengano registrati, ricevano un primo soccorso e siano sottoposti a visite mediche.
Inizialmente i rifugiati vengono ospitati in centri di accoglienza temporanea, ma entro una settimana dal loro arrivo nel paese sono ricollocati in una delle trenta tendopoli presenti sul territorio nazionale. Durante la loro permanenza nell’ex colonia britannica ricevono 12 chili di cibo al mese per persona e supporto sanitario gratuito, inoltre ogni nucleo famigliare ottiene anche un lotto di terreno di 900 metri quadrati dove costruire il proprio alloggio e coltivare la terra.
Una legge del governo centrale ha voluto poi che il 30 per cento degli aiuti internazionali fosse destinato ai territori ospitanti e ciò ha permesso che nelle zone dove sono ospitati i profughi venissero create nuove infrastrutture, di cui beneficiari sono stati anche i cittadini ugandesi. In questo modo in Uganda la popolazione locale da subito ha interagito con le comunità rifugiate e si è assistito a un inserimento graduale dei profughi nella società come in pochi casi si è constatato in questi anni di esodo globale.
Ovviamente non sono mancate critiche al modello di accoglienza dei rifugiati. Il presidente Yoweri Museveni, in carica da oltre trent’anni, è stato accusato ripetutamente di strumentalizzare i profughi per ottenere consenso politico a livello internazionale e distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai suoi metodi autoritari. Inoltre, sono emersi scandali di funzionari ugandesi che avevano aumentato il numero dei profughi presenti per ottenere maggiori fondi dai donatori. Al di là di quelle che sono le ombre, legittimamente contestate, un fatto innegabile è però che a 1,5 milioni di persone è stata data una nuova possibilità di vita. Uomini, donne e bambini in fuga da guerre civili e violenze atroci. Dalla Somalia al Congo, dal Sud Sudan all’Afghanistan.
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