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La vivisezione nel nostro paese è sempre più praticata. Lo certifica un rilevamento della Lav, la Lega anti vivisezione, sulle pratiche in uso in Italia nel 2016.
Il numero di animali vittime di vivisezione in Italia è aumentato, secondo i dati della Lega anti vivisezione (Lav) riferiti al 2016, nonostante i metodi alternativi siano indicati come prioritari sia per legge che nel contesto scientifico e normativo europeo.
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Il numero delle cavie utilizzate e uccise ogni anno nel nostro paese, per esempio, non solo non diminuisce, come ci si dovrebbe aspettare, ma addirittura aumenta, passando da 586.699 nel 2015 ai 611.707 sacrificati nel 2016. Le statistiche – sottolinea la Lav – riguardano il numero di animali usati per fini sperimentali nel 2016.
Secondo i dati riferiti dalla Lega anti vivisezione è in aumento il ricorso a conigli, cavalli, capre, topi, ratti, polli e pesci, ma anche l’uso dei macachi che arrivano a 454, contro i 224 uccisi nel 2015. Nel 2016, poi, sono stati 4.610 gli animali riutilizzati, procedura che prevede che una cavia sia sottoposta a un esperimento e ne subisca anche un secondo, e 2.173 i topi allevati per il solo mantenimento di colonie di animali geneticamente modificati. Si tratta di un sistema in cui si inseriscono, nel dna dell’animale, geni o tratti genici che portano l’informazione legata alla malattia umana, dove metà degli embrioni muore durante il periodo della gestazione, o viene soppresso perché nasce privo della modifica genetica richiesta. Il tutto in un paese, come l’Italia, in cui si fa divieto di procedure didattiche sugli animali, prevedendo soltanto deroghe per l’alta formazione universitaria.
L’associazione avverte nel suo comunicato che le cifre riportate, di per sé già impressionanti, sono fortemente sottostimate perché non tengono conto di molte categorie come gli animali vivisezionati già morti, gli invertebrati o le forme di vita non completamente sviluppate, in un calvario al termine del quale arriva la morte. Impressionante, inoltre, che 280.322 animali vengano sottoposti a procedure con categorie di dolore moderato o grave.
I dati decisamente allarmanti si inseriscono in un contesto che, a livello europeo, sta cercando di porre un limite alla pratica aberrante della vivisezione. “Dobbiamo superare l’obsoleto vincolo del ricorso al modello animale, dando all’Italia lo slancio verso la ricerca del futuro, per motivazioni etiche e scientifiche, e rivolgendoci a una ricerca utile ed affidabile”, dice Michela Kuan, biologa, responsabile Lav. “La ricerca senza animali è possibile. In Europa si chiede una scienza diversa che identifichi i metodi alternativi come prioritari con l’unico e chiaro obiettivo di una ricerca che non faccia del male agli animali”. I principi contenuti in diverse normative sono stati ribaditi anche recentemente dall’Ema, l’Agenzia europea del farmaco. Ma, per il momento, non si intravedono i risultati.
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