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Un team di giornalisti coraggiosi, migliaia di documenti, la sete di giustizia. Sono gli ingredienti di West Africa Leaks, una colossale inchiesta su corruzione ed evasione fiscale in Africa occidentale.
La corruzione e il ricorso spregiudicato ai paradisi fiscali mietono sempre le stesse vittime: le persone comuni. Quelle che si vedono scavalcate dai disonesti e depredate delle risorse a cui hanno diritto. Stando così le cose, qual è l’impatto di questi giochi di potere sulle nazioni economicamente più fragili? Una risposta arriva da West Africa Leaks, la prima grande inchiesta tutta dedicata ai quindici paesi dell’Africa occidentale. Un lavoro imponente, che è stato pubblicato il 22 maggio 2018 dall’International consortium of investigative ournalists (Icij), lo stesso che ha vinto il premio Pulitzer nel 2017 per aver svelato al mondo lo scandalo dei Panama Papers.
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West Africa Leaks è, in breve, un’inchiesta relativa a quindici paesi, costruita in sei mesi dal team dell’Icij insieme a una squadra di reporter locali, che si dono destreggiati tra francese, inglese, portoghese e decine di idiomi nativi. I giornalisti africani si sono spesso dovuti accontentare di mezzi ridotti, in alcuni casi sono stati minacciati. Uno di loro vive in esilio, altri si sono visti cancellare da un giorno all’altro i contratti pubblicitari fondamentali per il sostentamento delle loro testate. Perché concentrarsi proprio su questa regione dell’Africa? Perché – spiega il coordinatore Will Fitzgibbon – ci vivono 367 milioni di persone, tra cui alcune delle popolazioni economicamente più in difficoltà in tutto il Pianeta. Perché si tratta di un nodo cruciale nelle rotte dell’evasione fiscale. Perché, secondo alcuni esperti, l’Africa perde più soldi per le operazioni offshore di quanti non ne riceva dagli aiuti allo sviluppo. Per soddisfare un diffuso bisogno di giustizia, insomma, questi giornalisti hanno lavorato duramente per rivelare, per la prima volta, i segreti finanziari di alcuni dei politici e degli uomini d’affari più potenti del Continente.
Una delle storie raccontate da West Africa Leaks affonda le sue radici nel 2004, quando il Senegal ha siglato un accordo fiscale con Mauritius, il piccolo stato-isola nell’oceano Indiano che fa parte della blacklist dei paradisi fiscali stilata da Oxfam. I trattati bilaterali di per sé nascono per evitare la doppia tassazione, incoraggiando gli investimenti stranieri (e i posti di lavoro che ne derivano) grazie a una maggiore chiarezza sull’ammontare di tasse da pagare. Col tempo però i vantaggi, che dovevano essere equamente distribuiti tra le due parti dell’accordo, si sono sbilanciati sempre più a favore delle aziende.
Aziende come la canadese SNC-Lavalin, una delle più grandi società al mondo nel campo dell’ingegneria e delle costruzioni, che nel 2011 ha avviato la costruzione di un impianto di trasformazione legato alla miniera di Grande Cote; un accordo da 50 milioni di dollari. Proprio grazie all’accordo tra Mauritius e Senegal – affermano i giornalisti – l’azienda avrebbe evitato di sborsare 8,9 milioni di dollari di tasse. Le sarebbe bastato costruire una società ad hoc, SNC Lavalin-Mauritius, senza nemmeno dover aprire un ufficio di proprietà. A queste affermazioni i giornalisti arrivano dopo aver esaminato una grande quantità di documenti, fatture, carte bancarie. Di fronte a queste contestazioni, SNC-Lavalin nega di aver istituito la società per ridurre il proprio carico fiscale. La repubblica di Mauritius, continua, è stata scelta perché garantiva un basso rischio politico, una forza lavoro bilingue, un buon supporto bancario e un sostegno per il business in Africa.
Today we launch #WestAfricaLeaks with 13 journalists in 11 countries. An unprecedented investigation in the region! Read all about it here: https://t.co/bys6kyMAm5 #ParadisePapers #PanamaPapers #SwissLeaks #OffshoreLeaks
— ICIJ (@ICIJorg) 22 maggio 2018
Quel che è certo, conclude l’inchiesta West Africa Leaks, è che quegli 8,9 milioni di dollari, se fossero finiti nelle casse pubbliche del Senegal, sarebbero bastati per coprire per un anno i costi di gestione del più grande ospedale pubblico dello stato. Tutto questo in un territorio in cui metà della popolazione vive in condizioni di povertà e il tasso di mortalità dei neonati tocca il 5 per cento.
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