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Il World Press Freedom Day, quest’anno, arriva a poca distanza da una strage di giornalisti avvenuta in Afghanistan. E da altri reporter uccisi a Gaza.
Giovedì 3 maggio si celebra il World Press Freedom Day, la Giornata mondiale della libertà di stampa. Un evento che, quest’anno, arriva a poca distanza da un’ecatombe di giornalisti, presi di mira in Afghanistan dal gruppo terrorista Stato Islamico e in Palestina dall’esercito israeliano.
Il 30 aprile scorso, infatti, dieci reporter afgani sono stati massacrati nel corso di un doppio attentato effettuato nella capitale Kabul e di un altro attacco nella città di Khost, nel sud del paese. Nel primo caso, gli operatori dell’informazione erano accorsi nel quartiere di Shash Darak, per documentare le conseguenze di una prima esplosione, avvenuta di fronte ad una sede dei servizi segreti.
Secondo quanto riferito da un portavoce della polizia di Kabul all’agenzia Afp, “il kamikaze si è fatto esplodere quando era in mezzo ai giornalisti”. Si era infatti munito di una finta telecamera ed era così riuscito ad intrufolarsi nel gruppo: è chiaro dunque che le vittime erano state prese di mira scientemente dal terrorista. Ad essere state uccise sono nove persone in tutto, tra reporter e fotografi; altre sei sono rimaste gravemente ferite. Il decimo a morire è stato un giornalista della Bbc, che ha perso la vita poche ore dopo a Khost, colpito in questo caso da una pallottola.
Secondo quanto riferito dall’Huffington Post Maghreb, inoltre, nella Striscia di Gaza i reporter sono ormai “sistematicamente presi di mira dai cecchini dell’esercito israeliano”. Ciò dall’inizio di aprile, da quando cioè è stata avviata dai palestinesi la “Marcia del ritorno”, movimento di protesta che dovrebbe culminare il 15 maggio, giorno in cui ricorre la Nakba: la “catastrofe”, ovvero l’espulsione – forzata e definitiva – di migliaia di palestinesi al momento della creazione dello stato di Israele.
Grande scalpore ha suscitato la morte del trentenne Yaser Murtaja, giornalista dell’agenzia di stampa Ain Media, avvenuta il 6 aprile scorso. Nonostante indossasse una giacca con una grande scritta “Press”, è stato raggiunto dai colpi dei soldati israeliani. Nell’occasione, l’associazione Reporter senza frontiere ha affermato che il professionista “è stato colpito in modo deliberato dai militari. Indossava un gilet che lo rendeva riconoscibile in quando operatore dell’informazione: è stato dunque ucciso in modo intenzionale. Si tratta di un crimine contro la libertà di stampa”.
Il 20 aprile, poi, un secondo giornalista è stato colpito in circostanze simili: si tratta di Ahmed Abu Hussein, che aveva 24 anni e che è morto alcuni giorni dopo, nella serata del 25 aprile, a causa dei proiettili esplosi da un cecchino che lo avevano colpito allo stomaco.
La situazione complessiva, insomma, è particolarmente pesante. Non a caso, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è rivolto direttamente ai governi: “Quest’anno, in occasione del World Press Freedom Day, vi chiedo di fare di più per far sì che essa sia rispettata e che i giornalisti siano protetti. Sostenendo la libertà di stampa, difendiamo il diritto alla verità”.
La Giornata è stata istituita dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1993. Quest’anno ricorre dunque la venticinquesima edizione. Audrey Azoulay, direttrice generale dell’Unesco https://en.unesco.org/commemorations/worldpressfreedomday/dg-message, ha ricordato che “nel corso del 2017, 79 giornalisti sono stati uccisi in tutto il mondo mentre facevano il loro mestiere”. Un segnale che conferma come “la libertà di stampa, come tutte le libertà, non è mai definitivamente acquisita”.
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