Yahoo! e non solo, 4 aziende che sembravano eterne e non ci sono più

La notizia è di queste ore: Yahoo! cambia nome, proprietà e settore di attività, perdendo anche la guida di Marissa Mayer. L’epilogo della parabola di quella che, fino a non troppo tempo fa, sembrava una delle internet company più promettenti e brillanti al mondo. Ma Yahoo! non è certo l’unico impero a crollare di fronte

La notizia è di queste ore: Yahoo! cambia nome, proprietà e settore di attività, perdendo anche la guida di Marissa Mayer. L’epilogo della parabola di quella che, fino a non troppo tempo fa, sembrava una delle internet company più promettenti e brillanti al mondo. Ma Yahoo! non è certo l’unico impero a crollare di fronte al mondo che cambia. Ecco quattro esempi illustri.

Yahoo!

Nato nel 1994 come hobby di due studenti, Yahoo! raggiunge il suo massimo splendore nei primi anni Duemila, arrivando a un valore stimato di circa 125 miliardi di dollari. Tanto da potersi permettere, nel 2008, di rifiutare le avances di Microsoft, che lancia un’opa (offerta pubblica di acquisto) da 44,6 miliardi di dollari e poi la alza (invano) di altri 5 miliardi. Criticato dagli azionisti, il fondatore Jerry Yang lascia.

È il periodo in cui inizia il declino vertiginoso. Mentre Facebook guadagna terreno e Google raffina sempre di più i suoi algoritmi, Yahoo! resta indietro. Nel 2012 nel ruolo di amministratore delegato viene nominata Marissa Mayer, che dà il via a una vera e propria terapia d’urto. Da un lato, Yahoo! acquista Tumblr per 1,1 miliardi di dollari. Dall’altro, licenzia il 20 per cento dei dipendenti (quasi 3.000 persone). Gli utili crollano di trimestre in trimestre, alla fine del 2015 le perdite superano i 4 miliardi di dollari.

Nell’estate del 2016 la svolta, con l’acquisto dei servizi internet da parte di Verizon per 4,8 miliardi di dollari. Yahoo! dovrà dire addio a parte del consiglio di amministrazione, Mayer inclusa, e al suo marchio. Con il nuovo nome di Altaba, sarà una sorta di investment company e passerà i servizi internet a Verizon. Il colosso delle telecomunicazioni dovrà fare del suo meglio per cancellare dalla memoria degli utenti lo scandalo degli attacchi hacker che negli scorsi anni hanno colpito 1,5 miliardi di account Yahoo!.

Vent'anni Yahoo!
Nel 2015 Yahoo! festeggiava i vent’anni. Foto © Slaven Vlasic/Getty Images

Texaco

All’inizio del Novecento si scoprono, uno dietro l’altro, pozzi petroliferi in Texas. Nasce in questo periodo Texaco, che in breve diventa una delle potentissime “sette sorelle” del petrolio, con giacimenti in mezzo mondo. Negli anni Sessanta inizia a lavorare anche in Ecuador, nella zona del Lago Agrio, dove per estrarre il petrolio finisce per distruggere oltre due milioni di ettari di foresta amazzonica, contaminando le acque e danneggiando in modo permanente la salute della popolazione locale. Ne deriverà una delle più lunghe e combattute battaglie ambientaliste della storia, per cui nel 2011 sarà condannata a un risarcimento da 19 miliardi di dollari. E non è certo l’unico problema legale che coinvolge Texaco: è di 10 miliardi di dollari l’enorme risarcimento che deve pagare dopo aver perso una causa contro Pennzoil. Dagli anni Novanta inizia una serie di alleanze con altre aziende del settore, che culmina nella fusione con Chevron, completata nel 2001. Piano piano, il marchio Texaco sparisce.

Atari

Tutto nasce da Pong, quel rudimentale videogioco in bianco e nero in cui i due giocatori, che altro non sono che lineette bianche, devono rimbalzarsi a vicenda una pallina. È il primo videogame di sempre e il primo grande successo di Atari, che a partire dagli anni Settanta è una delle più grandi e celebri aziende al mondo che producono consolle, videogiochi arcade (per intenderci, i cabinati a gettoni che per decenni hanno affollato i bar) e computer. In questo caso, la storia si infrange contro l’innovazione tecnologica. Atari non riesce a stare al passo con la concorrenza e piano piano finisce nel dimenticatoio. Dopo una girandola di acquisizioni e cambi di proprietà, nel 2013 presenza istanza di fallimento. Il marchio, molto ridimensionato, sopravvive ancora e potrebbe tentare l’ennesimo rilancio nei prossimi mesi.

Enron

“La madre di tutti gli scandali”. Finisce così, senza gloria, la storia di Enron. Nata nel 1920, aveva iniziato in sordina a estrarre e raffinare petrolio e gas naturale. A partire dagli anni Novanta aveva vissuto un vero e proprio boom, diventando la settima più grande azienda americana, con sedi in mezzo mondo. Peccato che fosse tutto falso. Fatturato, profitti, indebitamento. Dietro lo splendore di Enron c’era una gigantesca truffa contabile, perpetrata per anni. Quando nel 2001 la Sec (l’equivalente della nostra Consob) la scopre, non c’è più nulla da fare. Nell’arco di due mesi Enron fallisce, lasciando a casa decine di migliaia di dipendenti e trascinando con sé le decine di società più piccole che dipendevano dalle sue attività. Chiude i battenti anche Arthur Andersen, che aveva certificato i suoi bilanci.

 

Foto in apertura © Stephen Lam/Getty Images

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