
Quante imprese hanno i mezzi per far fronte a un danno all’ambiente? A dare una risposta è la rilevazione di Pool Ambiente su dati Ania.
È una questione di salute e di ambiente. Non è più solo una dimenticanza politica, non è solo un aspetto della stessa incuria dimostrata dal dissesto idrogeologico. La mancanza di depuratori e il fatto che le fognature non siano allacciate a impianti come la legge impone, ora ci espone anche a multe milionarie dall’Europa. Infatti
È una questione di salute e di ambiente. Non è più solo una dimenticanza politica, non è solo un aspetto della stessa incuria dimostrata dal dissesto idrogeologico. La mancanza di depuratori e il fatto che le fognature non siano allacciate a impianti come la legge impone, ora ci espone anche a multe milionarie dall’Europa.
Infatti la Commissione europea ha comunicato al Governo italiano che proporrà alla Corte di giustizia europea l’importo delle sanzioni che l’Italia dovrà pagare per gli inadempimenti nel trattamento delle acque reflue urbane e nelle rete fognaria.
La cifra stimata che dovremmo versare a mo’ di sanzione per mancata attuazione della direttiva 1991/271 è di 482 milioni di euro. 2,7 miliardi sono i fondi europei e Fsc bloccati. Palazzo Chigi con la Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche Italia Sicura vogliono almeno aprire i cantieri quest’anno, per convincere la Ue a un’ulteriore proroga, e ha creato un sito per tener monitorati online i progetti in corso d’opera (www.acqua.gov.it). Gli investimenti idrici sono almeno di 1,7 miliardi annui, ma sono ancora molto sotto la media europea. Il governo vuole portarli a tre miliardi di euro l’anno, di cui 500 pubblici.
Però intanto nel 2015 è scaduto il primo termine sul trattamento delle acque reflue e sono state rese note le cifre di quanto rischiamo di pagare.
In Italia ci sono 3.193 agglomerati, di questi 1.025 sono in procedura di infrazione. Oltre il 60% delle aree in infrazione sono in Lombardia, Campania, Calabria e Sicilia. “Tre italiani su 10 – ha spiegato Erasmo D’Angelis, capo di Italia Sicura, durante gli Stati generali acque pulite del 2015 – non sono allacciati a fognature o depuratori. Se non faremo nulla, le sanzioni sono di 482 milioni di euro l’anno a partire dal 2016, di cui 185 per la Sicilia e 74 la Lombardia”.
Eppure i soldi ci sono: la delibera Cipe 60/2012 (governo Monti) stanziava 1,7 miliardi di euro di fondi Fas per realizzare fogne e depuratori nelle zone sotto infrazione. Spesi, però, al rallentatore: i progetti in corso di realizzazione sono solo 32 su 182, per un valore di 148 milioni, l’8% del totale.
Secondo Palazzo Chigi sono ancora fermi, neppure appaltati, in tutto 2,7 miliardi di euro della programmazione 2007-13 (fondi europei e Fsc) per depurazione e reti idriche (compresi gli 1,5 fermi della delibera 60). Ma il problema non è solo sulla depurazione.
Uno dei più grandi problemi che affligge il nostro paese è l’insufficienza del sistema di raccolta e del trattamento delle acque reflue, che inoltre è il principale fattore di inquinamento. Altro tema di fondamentale importanza è quello della piena operatività degli enti d’ambito, condizione necessaria per attrarre investimenti nelle infrastrutture idriche, con particolare riferimento al servizio idrico integrato.
Il nostro sistema presenta ancora delle grosse lacune dal punto di vista gestionale e delle infrastrutture, poiché sono stati deficitari o del tutto assenti la vigilanza, i controlli e un’adeguata attività di pianificazione e regolazione. Una particolare attenzione deve essere data al settore depurativo e fognario, ecco perché è fondamentale che i piani d’ambito si sviluppino su un’adeguata analisi dell’esistente, su una programmazione e pianificazione degli interventi atti a fornire un servizio adeguato agli utenti al fine di raggiungere gli obiettivi di qualità fissati dalla direttiva europea.
La dispersione d’acqua nelle reti è sempre al 37% circa, il 50% al sud. Nove milioni di italiani hanno problemi di qualità e quantità nelle forniture idriche. Eppure in Italia per l’acqua pubblica negli ultimi anni si è investito solo 1,7 miliardi l’anno (di cui circa 400 milioni pubblici), pari a 28 euro per abitante, contro gli 80 euro della Francia, 100 nel Regno Unito, 120 in Danimarca. L’obiettivo è salire nel giro di qualche anno almeno a 50 euro l’anno per abitante, vale a dire 2,5 miliardi di euro circa dai gestori del servizio idrico, più 500 milioni all’anno con fondi Ue e Fsc. Compresi i 2,7 miliardi incagliati, si potrebbe arrivare a 20 miliardi nel 2015-2020.
L’ostacolo principale è, dunque, la frammentazione delle gestioni: a 21 anni dalla legge Galli le gestioni integrate coprono solo il 70% della popolazione (il resto sono gestioni comunali o obsolete o transitorie). I gestori idrici sono ancora 283. Secondo Franco Bassanini, presidente di Cassa Depositi e Prestiti “si può investire di più, ma solo con gestori più grandi e più efficienti, e solo se le opere non vengono rallentate dalla burocrazia”.
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