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Come i cambiamenti climatici stanno trasformando lo sport, ma soprattutto il destino olimpico di molte atlete e atleti solo per la loro provenienza geografica.
L’Afghanistan è dal 1978 che non ha una pace duratura. Tra conflitti, fame e crisi umanitarie, l’ong Azione contro la fame delinea la situazione e racconta le storie della popolazione.
Dopo anni di declino, la fame nel mondo è tornata a crescere: nel 2017 il numero di persone che soffre di insicurezza alimentare è aumentato a 821 milioni, circa una persona su nove al mondo. Più della metà, 492 milioni, necessita di un’azione umanitaria urgente. Sono i dati dell’ultimo rapporto State of food insecurity (Sofi) della Fao, che conferma anche la violenza come causa principale della preoccupante inversione della tendenza positiva che avevamo raggiunto negli ultimi decenni.
La risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite lo scorso maggio riconosce gli stretti legami tra fame e guerra. “La nostra esperienza in più di 45 Paesi ci ha fornito numerose prove del rapporto bilaterale tra guerra e fame: da una parte le guerre distruggono mercati e mezzi di sostentamento e producono spostamenti massicci che innescano un elevato rischio di malnutrizione; dall’altra, l’insicurezza alimentare e la competizione per le risorse naturali o il cibo è all’origine di gran parte dei 46 conflitti attivi oggi nel mondo”, spiega Manuel Sánchez-Montero, responsabile advocacy di Azione contro la fame.
La proliferazione di numerosi conflitti nel mondo, che si prolungano nel tempo senza una soluzione a lungo termine, non fa altro che accrescere il numero di persone che soffrono la fame per via della violenza, 74 milioni dei quali ne soffrono nella sua forma peggiore, quando è così grave da costituire una minaccia immediata per la vita o i mezzi di sussistenza.
Fra tutti i Paesi in guerra, l’Afghanistan ha un triste primato: quarant’anni di conflitti hanno profondamente colpito la società civile afgana e hanno impregnato la struttura del Paese in un sudario di violenza. In base al capriccio dei colpi di stato dei diversi regimi e dell’influenza internazionale, dal 1978 l’Afghanistan è lacerato da crisi multiple.
La grande maggioranza del popolo afgano (34 milioni di abitanti) non ha conosciuto il proprio Paese in pace. E la vita in un Paese in guerra spesso significa una cosa sola: precarietà assoluta. Quasi il 40 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà; avere accesso ai servizi di base è molto difficile, il lavoro scarseggia e la sicurezza è estremamente volatile.
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Quarant’anni di conflitti, inoltre, hanno creato 1 milione di sfollati nel Paese e si stima che 1.100 persone fuggano dalle loro case ogni giorno. Nel 2014 è entrato in scena l’Isis, aggravando il conflitto in corso tra il governo e le diverse frazioni talebane. Gli attacchi nelle città aumentano e il terrore si propaga. Come conseguenza di tutto ciò, oggi 8.7 milioni di persone hanno necessità urgenti e 3.3 milioni di persone – una su dieci – hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Nel 2018 il conflitto si è intensificato, e l’Afghanistan è stato riclassificato da paese post-bellico a paese in guerra. I civili sono i più colpiti. 278mila afgani sono stati costretti a fuggire dalle proprie case e 263mila si sono spostati a causa di disastri naturali. La siccità del 2018 ha colpito più di due terzi di tutto l’Afghanistan e 3 milioni di persone, facendo collassare il settore agricolo. Quest’anno 670mila persone sono tornate dell’Iran e 43mila dal Pakistan. L’accesso alle cure e al supporto psicologico rimangono alcuni dei bisogni primari, così come la sicurezza alimentare, il riparo e l’accesso all’acqua.
Particolarmente delicata è la condizione delle donne, rese due volte vittime dal conflitto. Dai risultati di un’analisi di genere condotta da Azione contro la Fame nella provincia di Ghor, nella parte occidentale del Paese, si è constatato che uno dei motivi principali per la violenza contro le donne nella regione è l’iper-mascolinità, esacerbata da decenni di guerra.
Eghlima ha 40 anni e viene da Taibara, da dove è scappata con la sua famiglia a causa del divorzio della figlia. “Il loro matrimonio non ha funzionato. Hanno scaricato mia figlia e separato sua figlia da lei. Per disperazione siamo venuti a Chagcharan. Non potevamo più vivere lì: se fossimo rimasti, ci sarebbero stati dei combattimenti e qualcuno poteva rimare ucciso”. Enghlima aveva dato la sua primogenita in sposa per poter pagare le cure per la seconda figlia, che aveva un braccio ustionato. Ora che sua figlia è divorziata, vive con lei.
Eghlima stessa si è sposata giovanissima, quando aveva appena 14 anni e suo marito ne aveva già 50. “Nessuno mi ha chiesto se mi piacesse o meno mio marito. Mio padre mi ha puntato una pistola alla testa, il suo dito era sul grilletto. Io piangevo, ma mi ha detto che se mi rifiutavo di andare a casa sua mi avrebbe uccisa. È così in Afghanistan”.
“In Afghanistan”, continua, “non danno libertà alle donne. La libertà di andare in giro per la città, di andare nei villaggi, di avere un lavoro, di andare a lavorare. A Taibara, da dove vengo io, non permettono alle ragazze di studiare. Senza un’istruzione non puoi fare nulla, non importa se sei brava o no”.
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Il racconto di Enghlima è emblematico della situazione di tantissime donne afgane, che se interrogate sulla loro vita direbbero come lei: “Non ho nulla che mi renda felice o che mi faccia sentire bene. Non ricordo nessun giorno felice della mia vita. Ma il giorno peggiore è stato quello del mio matrimonio. Mio marito mi picchiava, ma ora non ci riesce più perché è troppo vecchio. Se potessi cambiare qualcosa nella mia vita, sarebbe mio marito.”
Azione contro la fame, come tutte le organizzazioni umanitarie, non può risolvere il problema alla radice di storie come quella di Enghlima, non può risolvere la guerra. Ma da oltre vent’anni siamo presenti in Afghanistan per rispondere alle esigenze più immediate, fornendo cibo, acqua potabile, assistenza psicologica, formazione in tema di sicurezza alimentare e mezzi di sussistenza.
Il progetto Emergency response (Erm), ad esempio, continua a rispondere ai bisogni immediati e vitali da chi viene colpito dai conflitti armati e dai disastri naturali. A Kabul, 48.881 perone hanno ricevuto aiuti nutrizionali. A Ghor abbiamo sviluppato progetti multisettoriali nei centri sanitari vicini alle comunità per prevenire la mortalità e morbidità materna e infantile. A Helmand i nostri progetti di nutrizione, igiene, per l’acqua hanno curato 1.608 bambini gravemente malnutriti e distribuito 1.173 kit mestruali. Nella provincia di Badghis stiamo aiutando le persone colpite dalla siccità.
Nel portare avanti le sue attività, Azione contro la Fame affronta sfide considerevoli, poiché ormai gli operatori umanitari sono diventati un bersaglio facile. Nel 2017, in tutto il mondo, ci sono stati 313 attacchi contro operatori umanitari: 139 sono stati uccisi, 102 sono stati feriti e 72 sono stati rapiti. La violenza non solo aumenta i bisogni umanitari ma rende molto più difficile per gli operatori svolgere il loro lavoro in sicurezza e accedere alla popolazione con gli aiuti di cui ha disperatamente bisogno.
Poiché il conflitto in Afghanistan sta scomparendo dall’agenda politica e mediatica, ora più che mai è necessario aumentare la consapevolezza delle persone sulla situazione di questo Paese, prima che cada definitivamente nell’oblio, e mobilitare l’attenzione dei cittadini a favore di questo conflitto dimenticato, per restituire alle sue vittime una voce.
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