In Alabama non si può più abortire, nemmeno dopo una violenza sessuale

L’Alabama introduce la legge sull’aborto più severa degli Stati Uniti d’America. I medici sono equiparati agli assassini e rischiano dai 10 ai 99 anni di prigione.

In Alabama le donne possono ricorrere all’aborto soltanto se sono in pericolo di vita o se il feto ha una malformazione letale. In tutti gli altri casi saranno costrette a portare avanti la gravidanza indesiderata, anche se è l’esito di uno stupro o di un incesto. È quanto prescrive l’Alabama human life protection act.

Dopo il via libera della Camera il mese scorso, il 15 maggio (ora locale, in Italia era già il 16) il Senato ha approvato a larga maggioranza l’ordinanza e dopo poche ore la governatrice repubblicana Kay Ivey ha apposto la sua firma, trasformandola in legge. Nelle parole di Ivey, la legislazione è una testimonianza della radicata fede del popolo dell’Alabama nel fatto che “ogni vita è preziosa e ogni vita è un sacro dono di Dio”.

Se per le donne che ricorrono all’aborto al di fuori dei rarissimi casi consentiti non è prevista nessuna conseguenza penale, per i medici al contrario le pene saranno pesantissime. Verranno messi sullo stesso piano dei colpevoli di omicidio premeditato, stupro o rapimento, rischiando dai 10 ai 99 anni di prigione.

Questa è soltanto la più recente – ed eclatante – di una serie di legislazioni statali che limitano fortemente il diritto all’aborto. Pochi giorni fa anche il governo a maggioranza repubblicana della Georgia ha fatto discutere, rendendolo illegale dal momento in cui è possibile rilevare il battito fetale. L’obiettivo dei promotori delle leggi è quello di provocare una serie di ricorsi da parte dei movimenti “pro choice”, arrivando fino alla Corte Suprema. Il loro auspicio è che quest’ultima si pronunci per rovesciare la legge federale sull’aborto e vietarlo definitivamente.

Foto in apertura © Naral Pro-Choice America / Facebook

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