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Allevate in gabbia non hanno nemmeno lo spazio per aprire le ali, allevate a terra devono dividersi un metro quadro in 9. La nuova indagine di Essere Animali mostra le condizioni delle galline ovaiole in Italia.
Ce le immaginiamo libere mentre razzolano intente a beccare il mangime, ma la realtà è ben diversa. A svelarlo è la nuova indagine di Essere Animali realizzata nei maggiori allevamenti italiani di galline. Vere e proprie fabbriche di uova che hanno un solo imperativo: produrre di più. Il consumatore può scegliere il metodo di allevamento, ma molti aspetti del settore, come gli incubatoi, sono nascosti.
In Italia 34 milioni di galline, il 92 per cento di quelle allevate, vive in capannoni sovraffollati, senza mai vedere l’erba o la luce del sole. Le dimensioni consentite dalla legge sono allucinanti: nell’allevamento in gabbia non hanno a disposizione nemmeno lo spazio per aprire le ali. Come mettere 13 galline su una scrivania e costringerle a vivere lì. Negli allevamenti a terra invece non ci sono gabbie ma nove animali per metro quadrato. In queste condizioni lo stress è tale che si deve procedere al debeccaggio, ovvero la mutilazione della parte terminale del becco, per limitare le ferite dovute alle aggressioni.
Le immagini mostrano galline spennate, anemiche, con infezioni alle zampe e problemi alle unghie. Alcune sono così apatiche che stentano a muoversi. Altre non si muovono più perché non riescono a sopravvivere un anno e otto mesi in queste condizioni. Trascorso questo tempo sono inviate tutte al macello, giovanissime ma già stremate dalla iper produzione di uova, resa possibile da selezione genetica, mangimi altamente proteici e cicli di luce artificiale.
Allevamenti e macelli non sono gli unici segreti dietro la produzione di uova. Le galline nascono negli incubatoi e appena nate sono separate dai pulcini maschi, che a differenza loro non le producono. Il trattamento riservato a questi ultimi dice molto su come l’industria consideri gli animali. Milioni di pulcini maschi sono tritati vivi perché ritenuti inutili, niente più che un rifiuto.
Il consumatore può scegliere il metodo di allevamento tramite un codice stampato sulle uova, che identifica con il numero 3 l’allevamento in gabbia e con il numero 2 l’allevamento a terra, ma sofferenza, mutilazioni e uccisione di pulcini fanno parte della produzione industriale di uova. Anche i pochissimi allevamenti all’aperto (codice 1) e biologici (codice 0), pur destinando alle galline uno spazio esterno, non sfuggono a pratiche crudeli. Non è una provocazione: è più facile evitare di mangiarlo che trovare in vendita un uovo per cui non sia stato maltrattato o ucciso nessun animale.
Nel 2017 gli allevamenti italiani hanno prodotto oltre 10 miliardi di uova, tante quante quelle consumate, sia intere che come ovoprodotto, ovvero ingrediente in preparazioni pronte. Evitandone il consumo si ha la certezza di estraniarsi da questo sistema, d’altronde adottare un’alimentazione vegetale è più semplice di quanto si creda.
Si può procedere anche per step: iniziare a ridurre il consumo di uova, oppure fornirsi se possibile dal contadino di fiducia o ancora rinunciare ad acquistarle, ma concedersi qualche strappo la sera a cena con amici. Sono abitudini quotidiane che non stravolgono le nostre vite, ma che possono fare la differenza per gli animali. L’apatia lasciamola alle galline allevate, loro non hanno scelta, noi sì.
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