
Un parcheggio cittadino trasformato in stazione di ricarica per un centinaio di veicoli elettrici. È il primo con sistema di accumulo da 50 kWh.
Una ricerca realizzata da McKinsey per Acea evidenzia la necessità di accelerare sulle colonnine per centrare gli obiettivi di riduzione delle emissioni.
La crescente diffusione delle auto elettriche non va di pari passo con quella delle colonnine di ricarica. E senza una decisa accelerata sul fronte infrastrutturale, da qui al 2030 sarà impossibile centrare l’obiettivo europeo di ridurre del 55 per cento le emissioni legate alla mobilità. A tracciare il quadro è una ricerca realizzata dalla società internazionale di consulenza manageriale McKinsey per l’Acea, l’Associazione europea dei costruttori di automobili.
Se negli ultimi cinque anni nell’Ue le vendite di auto a ricarica elettrica sono aumentate di dieci volte, raggiungendo nel 2021 la cifra record di 1,7 milioni di unità (una quota mercato del 18 per cento), nello stesso periodo il numero di stazioni di ricarica pubbliche è cresciuto solo di 2,5 volte. Di conseguenza, per i ricercatori sarebbero necessari fino a 6,8 milioni di colonnine in tutto il continente per centrare i target al 2030 sul contenimento delle emissioni di CO2. Una cifra quasi doppia rispetto a quella avanzata dalla Commissione nella sua proposta di regolamento sulle infrastrutture per i combustibili alternativi, che è ora in discussione al Parlamento e al Consiglio europeo.
Tradotto in maniera più concreta, andrebbero installati almeno 14.000 punti di ricarica alla settimana: oggi siamo al di sotto dei 2.000. Per dirla con le parole di Oliver Zipse, presidente dell’Acea e Ceo del gruppo Bmw, “la transizione verso lo zero è una corsa a lungo termine, e la sfida chiave ora è convincere tutti gli Stati membri ad accelerare la distribuzione dell’infrastruttura richiesta. Abbiamo assolutamente bisogno di una conclusione ambiziosa della proposta avanzata dalla Commissione europea, sia in termini di tempistica che di obiettivi che fissa per ciascun Paese dell’Ue”.
Si parla ovviamente di investimenti ingenti: la ricerca stima i costi annuali per le infrastrutture di ricarica pubbliche in otto miliardi di euro, pari a circa il 16 per cento degli investimenti destinati al 5G e alle reti internet ad alta velocità. Ma si tratta di una strada obbligata da percorrere per gli enormi benefici ambientali che ne deriverebbero, anche nell’ottica di convincere i cittadini a sposare con convinzione la mobilità elettrica: oltre al prezzo di acquisto ancora elevato, tra i principali motivi che ancora frenano le vendite c’è proprio la carenza delle colonnine di ricarica.
L’Europa deve insomma adeguarsi in fretta, e di conseguenza l’Italia, dove alla fine del 2021 risultavano attivi 26.024 punti di ricarica e 13.233 infrastrutture (installate su suolo pubblico o privato ad uso pubblico) tra stazioni e colonnine. Nei mesi scorsi il governo ha fatto partire il fondo di 90 milioni di euro del bonus colonnine elettriche, dedicato a imprese e persone fisiche con attività, per incentivarle ad installare infrastrutture di ricarica presso le proprie sedi: è previsto un contributo in conto capitale pari al 40 per cento delle spese ammesse e l’80 per cento delle risorse è destinato agli interventi delle imprese, con valore complessivo inferiore a 375.000 euro; per cifre superiori è destinato un altro 10 per cento, mentre per le persone fisiche ci sono i restanti nove milioni. Un’altra spinta importante dovrebbe arrivare dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, con investimenti pari a 741,3 milioni di euro per realizzare entro il 2026 oltre 20.000 punti di ricarica rapida lungo le superstrade e nei centri urbani.
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