Basta razzismo e colonialismo verde. Il contro-congresso sulla natura a Marsiglia

Un gruppo di ong ha organizzato a Marsiglia un contro-vertice rispetto al congresso Iucn sulla natura, denunciando il “colonialismo verde” dell’Occidente.

L’approccio alla tutela della natura deve cambiare, perché quello attuale è basato su una visione distorta della realtà, su una forma di “colonialismo verde” e su un latente razzismo. Che porta a cacciare le popolazioni autoctone dalle loro terre in nome della conservazione dei luoghi vulnerabili. L’accusa, durissima, arriva proprio mentre dirigenti e personalità del mondo intero sono riuniti a Marsiglia, fino all’11 settembre, per il Congresso mondiale dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn). Si tratta di una sorta di Cop (Conferenze delle parti, la cui ventiseiesima edizione si terrà a novembre a Glasgow) dedicata al tema della biodiversità.

Tutelare la natura senza ledere i diritti delle popolazioni autoctone

Alla vigilia e nel giorno dell’apertura dell’evento, il 2 e 3 settembre, si è tenuto un altro summit. Un contro-congresso battezzato “La nostra terra, la nostra natura”, promosso dall’organizzazione non governativa Survival International e centrato, appunto, sul tema del “colonialismo verde”.

Secondo l’associazionel’associazione, il congresso della Iucn si basa infatti su una “percezione distorta della natura”, che affonda le sue radici in Occidente. Ad essa sono infatti associati i concetti di bellezza e di luoghi incontaminati: da ciò discende che l’unico modo per ripristinare la natura è allontanarla dagli esseri umani e dal loro impatto.

Le critiche alla campagna “30×30”

È da questo principio che partono, secondo Survival International, le proposte e le politiche immaginate dai decisori politici. A partire dalla campagna “30×30”, che punta ad aumentare le aree protette nel mondo. Al contro-congresso è stato sottolineato in questo senso come tali azioni puntino proprio a eliminare gli abitanti di numerose aree, in nome della necessità di “conservare la natura”. Un approccio considerato di matrice occidentale e “profondamente razzista”.

popoli indigeni parigi cop 21
I popoli autoctoni possono aiutare in modo decisivo nella conservazione della natura e nella tutela della biodiversità © Andrea Barolini

Per questo al contro-congresso è stata data la parola soprattutto ai rappresentanti delle popolazioni autoctone, provenienti da 18 nazioni. Ciò con l’obiettivo di mostrare, con prove e testimonianze, come in alcuni casi sotto la bandiera della protezione della natura siano state commesse “atrocità”.

“Diritti umani violati in nome della difesa della natura”

Perfino violazioni dei diritti umani, torture e uccisioni hanno colpito, secondo Survival International, numerose persone cacciate dalle loro terre e che hanno tentato di riappropriarsene. O di tornarci per raccogliere piante medicinali o visitale luoghi per loro sacri.

Sono stati in questo senso citati casi che hanno riguardato il Congo, il Brasile, l’India, il Paraguay e la Guyana francese. Survival International – assieme a Minority rights Group, Rainforest foundation e Attac, propone invece un modello che coniughi da un lato la necessità di proteggere la natura con quella di proteggere i diritti delle popolazioni autoctone. Partendo dal presupposto proprio le comunità locali sono spesso fondamentali, ad esempio, nella difesa delle foreste e dunque nella tutela della biodiversità.

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