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Dare sollievo alla sofferenza non significa aiutare una persona a morire. La differenza tra sedazione palliativa, eutanasia e suicidio assistito è profonda. Un po’ di chiarezza sul biotestamento da chi, sul fine vita, ci lavora quotidianamente. L’editoriale dell’associazione Vidas.
L’approvazione della legge sul biotestamento è arrivata poco prima di Natale, il 14 dicembre. Un’immagine simbolo ci fa comprendere subito l’importanza di questo provvedimento salutato dall’aula del Senato con un lungo applauso: le lacrime di gioia dei rappresentanti dell’associazione Luca Coscioni, tra i quali Emma Bonino e Mina Welby.
#DAT #ConsensoInformato. Aula approva in via definitiva ddl #BioTestamento con 180 voti favorevoli, 71 contrari e 6 astenuti https://t.co/yLmRvsT5CP pic.twitter.com/xxCCVISV2G
— Senato Repubblica (@SenatoStampa) 14 dicembre 2017
Una battaglia durata anni per il diritto a una morte dignitosa che vede l’Italia fanalino di coda in Europa. Non sono mancate le polemiche, figlie di un pregiudizio difficile da sfatare: dare sollievo alla sofferenza non equivale ad aiutare una persona a morire.
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Noi di Vidas, che con questi preconcetti lottiamo quotidianamente, abbiamo pensato di fare un po’ di chiarezza. Prima di tutto per affermare, e con decisione, che la sedazione palliativa profonda prevista dalla nuova norma non è eutanasia né suicidio assistito.
“La differenza sta nell’intenzionalità dell’azione (il procurare la morte per i secondi due, ndr) e dei mezzi che vengono utilizzati. Non si usano gli stessi farmaci e gli stessi dosaggi che si usano negli altri casi. Suicidio assistito ed eutanasia, peraltro fatti in altri paesi secondo una precisa normativa, un iter e una procedura, avvengono poi però in pochi minuti. La sedazione palliativa nasce per tenere sotto controllo un sintomo, non provoca la morte nell’immediatezza e si può sempre decidere di tornare indietro. Nell’eutanasia c’è l’irreversibilità della manovra”, spiega Barbara Rizzi, direttrice scientifica di Fondazione Vidas.
Dobbiamo dunque dedurre che eutanasia e suicidio assistito siano sinonimi? Sebbene la finalità sia la stessa, si distinguono nelle modalità. Nel primo caso, infatti, è necessario l’intervento di un soggetto terzo poiché il malato è in stato di incoscienza o non ha sufficiente autonomia per assumere i farmaci che lo conducano alla morte. Parliamo di suicidio assistito, invece, quando è il paziente stesso a compiere ogni azione, seppure con il sostegno del personale deputato.
Si comprende così come l’invocato diritto all’obiezione di coscienza alla legge sul biotestamento sia frutto di un equivoco: la sedazione palliativa profonda nasce per alleviare le sofferenze, non è volta a togliere la vita. Usando le parole di Giada Lonati, direttrice sociosanitaria Vidas: “Come medico, quando curo un paziente lavoro per salvaguardarlo, non per farlo morire. La legge sul biotestamento fa lo stesso: garantisce alle persone la possibilità di essere lasciate andare dignitosamente”.
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