
Grandi ostacoli nei negoziati a Parigi sulla plastica. I governi sono d’accordo però sul predisporre una prima bozza entro fine anno.
Un nuovo studio spiega come gli investimenti per la conservazione degli elefanti garantiscano un ottimo ritorno nel turismo africano.
Il turismo in Africa ha perso 25 milioni di dollari l’anno per l’uccisione illegale di elefanti: 250 milioni di dollari in dieci anni. A tanto i mancati introiti del settore turistico africano, secondo uno studio pubblicato pochi giorni fa da Nature. Nove milioni di dollari per le spese vive che sarebbero state sostenute dai turisti se avessero scelto di visitare il continente africano per ammirarne i pachidermi, mentre 16 milioni è la cifra persa dalle aziende turistiche per il calo del flusso turistico previsto.
Il team di ricerca ha analizzato diversi parametri (la presenza di altri mammiferi “carismatici” ovvero in grado di attirare l’attenzione del turista, la presenza di manto forestale e la concentrazione di popolazioni indigene in un dato territorio) e ha rilevato un’altissima attendibilità (95 per cento dell’intervallo di credibilità) nel poter usare la densità di presenza degli elefanti in una data zona come elemento predittivo per il flusso turistico annuale.
Basta l’aumento di un solo punto percentuale nella densità dei pachidermi in una data area che il ritorno del flusso turistico cresce del 371 per cento. Un dato notevole visto che i 250 milioni di dollari persi negli ultimi 10 anni rappresentano ben il 20 per cento delle entrate complessive derivanti dal turismo per i 14 Paesi in cui si concentra più della metà degli elefanti africani. Le perdite si concentrano nei territori dell’Africa meridionale e orientale, mentre per la regione centrale del continente i dati sono migliori.
Non bisogna dimenticare, però, che le perdite derivanti dal mancato flusso turistico rimangono comunque ben al di sotto del valore del mercato nero dell’avorio esportato dall’Africa alla Cina, corrispondente a 597 milioni di dollari per il solo periodo 2010-2012. Fermare il bracconaggio per incrementare il flusso turistico non è però così semplice: esiste solo uno studio che ha esaminato la correlazione tra queste due variabili e risale al 1980. Per estirpare il bracconaggio, 26 anni fa sarebbero serviti 212 dollari per chilometro quadrato, che oggi corrispondono a 565 dollari. Nonostante gli alti investimenti necessari, i ricercatori affermano che adeguate politiche anti-bracconaggio avrebbero un discreto ritorno sull’investimento (con dati che somigliano o superano il ritorno sull’investimento in altri settori come l’agricoltura, l’educazione, l’elettricità e le infrastrutture), soprattutto per i Paesi dell’Africa occidentale, orientale e meridionale.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Grandi ostacoli nei negoziati a Parigi sulla plastica. I governi sono d’accordo però sul predisporre una prima bozza entro fine anno.
Uno studio condotto in Francia indica una permanenza delle molecole dei pesticidi nei terreni maggiore rispetto a quanto finora immaginato.
L’Overshoot Day 2023 ci dice che esauriremo le risorse della Terra cinque giorni dopo rispetto al 2022, ma solo in minima parte per merito nostro.
Per la Giornata mondiale dell’ambiente del 5 giugno, abbiamo scelto otto tecnologie che combattono l’inquinamento da plastica nei mari e nei fiumi.
I rappresentanti di 175 paesi sono riuniti a Parigi nel tentativo di accordarsi per un trattato sull’intero ciclo di vita della plastica.
Dopo l’Alberta, colpita dagli incendi la provincia della Nuova Scozia, in Canada. Decretato lo stato d’emergenza a Halifax.
Coltivare cibo consumando al minimo le risorse, senza chimica e generando meno CO2: la sfida dell’agricoltura verticale raccontata attraverso sette startup.
Villa Erba sorge a Cernobbio e ospita importanti eventi culturali. Tra efficientamento energetico e attività antispreco, l’intervista al suo presidente.
Il Comune di Conselice, nel ravennate, ha disposto l’evacuazione per i rischi sanitari legati all’acqua stagnante: finora pochi hanno lasciato il paese.