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Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha incaricato l’esercito di combattere contro la distruzione della foresta amazzonica. Ma le ong ecologiste sono contrarie: ecco perché.
Martedì 5 maggio, il presidente del Brasile Jair Bolsonaro ha autorizzato le forze armate ad intervenire contro la distruzione della foresta amazzonica, dando loro maggiori poteri rispetto alle agenzie che dovrebbero occuparsi della protezione dell’ambiente.
Questo incarico durerà dall’11 maggio al 10 giugno, ma potrà essere esteso con mandati di trenta giorni. Secondo il vicepresidente Antônio Hamilton Martins Mourão, la decisione di inviare l’esercito nella foresta fa parte di un piano più ampio che vedrebbe le forze dell’ordine stabilire delle basi operative dentro l’Amazzonia per combattere la deforestazione.
Quando si parla di Amazzonia e di Bolsonaro non si può che tornare con la mente a quelle tragiche immagini dello scorso anno, quando il mondo assisteva impotente davanti alla distruzione del polmone verde della Terra. Per mesi la foresta ha bruciato senza che il presidente muovesse un dito e solamente dopo crescenti pressioni internazionali, e una cospicua somma di denaro, Bolsonaro aveva finalmente deciso di agire, incaricando l’esercito di mettere fine agli incendi.
L’anno scorso la deforestazione ha raggiunto i livelli più altri dal 2008 e quest’anno è aumentata di un altro 51 per cento. Gli attivisti temono ora che si ripeta la situazione del 2019.
Gli attivisti hanno fortemente criticato questa decisione, dato che dovrebbero essere proprio le agenzie ambientali ad occuparsi di tutelare il territorio e a verificare il rispetto delle leggi. Bolsonaro ha precisato che con questo ordine vuole dare all’esercito il potere di coordinare le loro attività, come quella svolta dall’Ibama, l’Istituto brasiliano dell’ambiente e delle risorse naturali, e dall’Icmbio, l’Istituto Chico Mendes per la conservazione della biodiversità.
“L’esercito può aiutare in alcune situazioni, ma il loro operato dovrebbe sempre seguire l’esperienza delle agenzie – ha dichiarato all’agenzia di stampa Reuters Suely Araujo, a capo dell’Ibama fino al 2019 –. Sono le agenzie ambientali che conoscono l’area, sanno come condurre le operazioni e lavorare strategicamente”.
Secondo Araujo, la decisione di mettere l’esercito a capo delle operazioni nell’Amazzonia è “inaccettabile” e fa sorgere domande circa la libertà che le agenzie avranno di operare. Dovranno chiedere il permesso all’esercito prima di agire?
Da tempo l’Ibama e il Bolsonaro si trovano in disaccordo sulla gestione dei macchinari rinvenuti all’interno delle riserve indigene e delle aree protette che vengono usati per disboscare illegalmente delle porzioni di territorio. L’Ibama ha sempre distrutto ogni attrezzo rinvenuto, ritenendolo l’unico modo efficace per fermare queste pratiche. Bolsonaro sostiene invece il contrario, affermando che sia meglio non distruggerle
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Priscilla Schwarzenholz, portavoce della ong Survival international in Brasile, ha raccontato al giornale Mongabay che “la decisione di licenziare alcuni dei capi dell’Ibama che conducevano operazioni per cacciare gli invasori dalle terre degli indigeni è una prova ulteriore del tentativo del governo di rubare quelle terre. Ora che la minaccia della Covid-19 [la malattia provocata dal coronavirus, ndr] cresce sempre di più, espellere gli occupatori diventa più importante che mai. Penalizzare i dipendenti dell’Ibama per aver fatto il loro lavoro dimostra, ancora una volta, come Bolsonaro voglia sterminare queste persone”.
Preoccupa anche il crescente numero di figure militari nel governo. Dall’inizio del suo mandato nel 2019, il presidente Bolsonaro, lui stesso un paracadutista, ha gradualmente aumentato il numero di ufficiali all’interno dei suoi ministeri fino ad arrivare quest’anno con 7 persone sulle 20 del suo gabinetto ad aver servito nell’esercito. Un numero che non include il vicepresidente Hamilton Mourão, anche lui generale ormai in pensione.
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