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Si chiude la stagione venatoria con numeri allarmanti per quanto riguarda il bracconaggio. Il Wwf: “Chiediamo che venga introdotto in Italia il reato di uccisione di specie protetta”.
Si continua a sparare in Italia. Doppiette che puntano al cielo ed esplodono colpi mortali, non solo verso le specie cacciabili, ma sempre più spesso verso quelle protette, in via d’estinzione o in via di ripopolamento. Veri e propri episodi di bracconaggio verso aironi, poiane, sparvieri, gheppi, cigni, aquile, cicogne, falchi; verso il rarissimo ibis eremita, e la quasi scomparsa aquila di Bonelli.
Il Wwf calcola siano almeno 8 milioni all’anno gli uccelli vittime di atti di bracconaggio in Italia. E nemmeno specie magnifiche e uno dei simboli del nostro Paese sfuggono al piombo: si stima infatti che siano oltre 300 i lupi uccisi ogni anno sia col fucile, col veleno e con i lacci.
“Ci chiediamo come sia possibile che una esigua minoranza come i cacciatori, ormai meno dell’1 per cento della popolazione in Italia, possa ancora avere così tanto seguito tra politici e pubblici amministratori”, dichiara Dante Caserta, vicepresidente di Wwf Italia in una nota. “I danni prodotti dalla caccia, spesso malgestita e senza controlli, alla fauna selvatica italiana ed europea sono enormi. A questi vanno aggiunti i danni incalcolabili prodotti dalla caccia illegale”.
I bracconieri spesso utilizzano marchingegni vietati, spesso letali: archetti, reti, tagliole, roccoli, fumi di zolfo, richiami elettroacustici “mimetizzati” da telefoni cellulari . Solo uno degli ultimi casi ha registrato il sequestro di 150 animali a 5 cacciatori in azione nelle lagune venete del Delta del Po, tutte specie protette: oche selvatiche, volpoche, oche lombardelle.
“Una situazione che comporta la possibilità di gravi sanzioni comunitarie pagate da tutti noi italiani”, continua Caserta. “Per combattere le sempre più gravi forme di bracconaggio a specie protette chiediamo che venga introdotto in Italia il reato-delitto di ‘uccisione di specie protetta’”.
Una strage continua. Basta vedere i numeri dei centri di recupero del Wwf, che spesso ricoverano e curano animali protetti e colpiti dal piombo o da tagliole illegali. Solo il centro Cras di Valpredina, che serve le province di Bergamo e Brescia “ha accolto 44 rapaci feriti da arma da fuoco in pochi mesi, oltre a 440 esemplari di avifauna sequestrati”, scrive il Wwf.
Caso emblematico è quello dell‘ibis eremita. La specie, praticamente scomparsa in natura, è oggetto di un progetto di ripopolamento grazie ad un Life+ finanziato con più di 2 milioni di euro. Gli unici esemplari uccisi sono stati registrati in Italia: 4 per la precisione. O il caso del recupero di un rarissimo esemplare di aquila di Bonelli (Hieraaetus fasciatus), ferita da una fucilata in Sicilia e che non volerà mai più: qui vive l’unica popolazione nidificante in Italia. O ancora la storia della lupa Selena, monitorata con radiocollare e “scomparsa” lo scorso gennaio. La lista però è praticamente infinita, tra passeriformi, gru, nibbi, grifoni, anatre. Molte di queste spesso stanno semplicemente attraversando il nostro Paese. Per migrare.
Lapidaria l’Enpa (Ente nazionale protezione animali) che commenta: “I calendari venatori di quest’anno hanno previsto la possibilità di sparare a specie precedentemente escluse perché in grave declino, e nulla è stato fatto per aderire alle richieste dell’Unione Europea di fermare la caccia nella stagione della migrazione pre-nuziale e durante la fase della dipendenza dei piccoli dai genitori”. Denunciando il totale disinteresse di chi l’ambiente lo dovrebbe proteggere o quantomeno sostenere.
È il Veneto ad essere in cima alla classifica delle Regioni più affamate di fucili, proiettili e richiami. Emanando leggi che proteggono i cacciatori, in maniera nemmeno troppo velata. Basti pensare alla Legge regionale 17 gennaio 2017 n.1, che punisce con multe fino a 36mila euro “Chiunque, con lo scopo di impedire intenzionalmente l’esercizio dell’attività venatoria ponga in essere atti di ostruzionismo o di disturbo dai quali possa essere turbata o interrotta la regolare attività di caccia o rechi molestie ai cacciatori nel corso delle loro attività”.
Cè poi la Toscana, la più fervente in materia di caccia indiscriminata agli ungulati, o il Trentino Alto Adige che non è in grado di tutelare né l’orso, né mammiferi certo più piccoli e innoqui come le marmotte. O l’Abruzzo, che “si è visto bocciare per l’ennesima volta dal giudice ammnistrativo una parte del calendario venatorio 2016/17”, scrive sempre il Wwf.
Ma se da un lato si sta tentando di distruggere parte della vita selvatica dall’immenso valore ecologico e di diversità biologica, dall’altro non si comprende che queste pratiche indiscriminate condannano il Paese a nuove procedure d’infrazione, che costeranno denari sonanti anche a chi il fucile non l’ha mai preso in mano.
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