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In Canada, le popolazioni indigene ottengono la protezione di un’area marina. Perché proteggere i territori dei nativi significa proteggere l’ambiente.
È passato quasi un decennio da quando leader politici, attivisti ambientali e popolazioni indigene del Canada hanno trovato un accordo per proteggere quella vasta area di 6,4 milioni di ettari – composta da cedri e abeti rosso secolari, lupi, salmoni e orsi grizzly – conosciuta come la Great bear rainforest, una foresta pluviale temperata sulla costa pacifica della Columbia Britannica, un’area incontaminata grande quanto l’Irlanda. Ora, le nazioni indigene della stessa regione sperano di replicare quel successo estendendo lo stesso modello di accordo all’oceano e creare finalmente una nuova area marina protetta (Mpa) chiamata Great bear sea.
Durante il quinto congresso internazionale delle aree marine protette, che si è tenuto a Vancouver, i leader delle principali popolazioni indigene, le cosiddette First nation, della Columbia Britannica – la provincia più occidentale del Canada – hanno annunciato un piano per proteggere una fascia di costa marina grande 10 milioni di ettari, che si estende dalla Vancouver island al confine tra Canada e Alaska.
In quest’area vivono 26 popolazioni indigene, che conservano l’esistenza di sei lingue antiche. Proteggere la foresta, però, non basta: negli ultimi anni, gli stock ittici di salmone selvaggio del Pacifico, dalla cui pesca dipendono le comunità costiere, sono crollati. Così come sono crollate le popolazioni di pesce candela, granchio di Dungeness e scorfano.
Ma le cose sono destinate a cambiare: 15 first nations, insieme al governo del Canada e al governo della Columbia Britannica, hanno ufficializzato il Network action plan per l’istituzione di un’area marina protetta in quella che ufficialmente viene chiamata Northern Shelf Bioregion (Nsb). Uno dei primi compiti sarà definire tempi e costi, che al momento ancora non sono stati definiti.
“Le first nations sulla costa settentrionale dell’oceano Pacifico sono state custodi delle terre e delle acque per oltre 14mila anni e sono profondamente impegnate a proteggere la ricca diversità della vita marina, nonché le pratiche tradizionali”, si legge nel comunicato ufficiale della Great bear initiative. “Il governo del Canada sta lavorando con le first nations, la provincia della Columbia Britannica e i partner per conservare il 25 per cento degli oceani canadesi entro il 2025 e il 30 per cento entro il 2030. Questo piano d’azione sviluppato in collaborazione è un contributo significativo al raggiungimento di questi obiettivi e traguardi”.
Negli ultimi anni, la Columbia ha intensificato molto l’import-export di pellet e gas naturale liquido (gnl). Eppure, i biologi marini concordano che sostenere il ripopolamento delle specie ittiche sarebbe un contributo fondamentale nella sfida contro i cambiamenti climatici. Istituendo una rete di aree protette, la speranza è che la regione possa vedere rapidi benefici.
Per i leader indigeni, tale accordo sancirebbe un cambio di punto di vista sull’ambiente e sulla sostenibilità da parte del governo canadese. Negli ultimi anni, infatti, sono stati diversi gli sforzi proferiti dai nativi nella difesa del territorio naturale: tra i tanti esempi che si possono citare, tra i più recenti ci sono gli scontri tra le forze dell’ordine canadesi e le popolazioni ereditarie del territorio Wet’suwet’en. Al centro, il passaggio del Coastal Gaslink, controverso oleodotto che sarebbe dovuto passare nel territorio della popolazione nativa dei Wet’suwet’en. I rappresentanti indigeni sono sotto processo per aver impedito l’accesso allo Wedzin Kwa (fiume Morice), la principale fonte di acqua pulita e habitat naturale dei salmoni.
E poi, questioni ambientali a parte, c’è un grosso conflitto tra le parti che di recente ha raggiunto un epilogo: il governo canadese ha accettato di risarcire con 1,9 miliardi di euro (2,8 miliardi di dollari canadesi) le comunità indigene del paese per gli abusi commessi nelle cosiddette “scuole residenziali” istituite e gestite dal governo e dalla Chiesa cattolica tra la seconda metà dell’Ottocento e il Novecento.
La decisione deve essere ancora approvata da un tribunale e fa seguito a una causa legale collettiva portata avanti da 325 gruppi indigeni canadesi: al centro ci sono violenze e abusi compiuti sui minori all’interno di quello che una commissione nazionale ha definito anni fa un genocidio culturale. Non ci sono stime precise, ma secondo gli indigeni migliaia di loro morirono a causa di malattie, malnutrizione o suicidi. Molti vennero seppelliti nelle fosse comuni vicino alle scuole, fosse riscoperte di recente. Papa Francesco ha visitato il Canada a luglio per chiedere perdono ai nativi indigeni, riconoscendo per la prima volta il ruolo avuto dalla Chiesa cattolica.
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