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Tanti stranieri, ma anche tanti italiani tra gli indigenti: sono soprattutto giovani e vivono soprattutto al Sud. La Caritas chiede un piano per il lavoro.
Nel 2007, all’inizio della grande crisi economica globale, in Italia le persone che vivevano in condizioni di povertà assoluta erano meno di due milioni; oggi , nove anni dopo, sono diventate più di 4 milioni e mezzo. Si tratta, dice la Caritas italiana, di persone che sperimentano “la forma più grave di indigenza, quella di chi non riesce ad accedere a quel paniere di beni e servizi necessari per una vita dignitosa”. Le situazioni più difficili, ancora una volta, sono quelle vissute dalle famiglie del Mezzogiorno, dalle famiglie con due o più figli minori, dalle famiglie di stranieri, dai nuclei il cui capofamiglia è in cerca di un’occupazione o operaio e dalle nuove generazioni. Ma il vero fattore nuovo riguarda l’età degli indigenti: sono sempre di più i giovani a soffrire la fame, e sempre meno gli anziani: “la persistente crisi del lavoro ha infatti penalizzato (o meglio, sta ancora penalizzando) soprattutto giovani e giovanissimi in cerca di una primao nuova occupazione e gli adulti rimasti senza un impiego”, spiega la Caritas.
Il problema riguarda sempre più italiani, che sono ormai oltre il 40 per cento di quelli che si sono rivolti, nel 2015, ai centri di ascolto promossi dalla Caritas: circa 90mila persone sulle 190mila totali. Ma le percentuali salgono fini al 66 per cento al Sud. I bisogni o problemi più frequenti che spingono gli indigenti a chiedere aiuto sono perlopiù di ordine materiale: povertà economica in primis, naturalmente, ma anche disagio occupazionale, problemi abitativi e familiari.
@CaritasItaliana i giovani sono i nuovi poveri https://t.co/usWD4KVO3x pic.twitter.com/XDW3DgKGbT
— Avvenire (@Avvenire_NEI) 17 ottobre 2016
Come fare per porre rimedio a questa nuova povertà? Secondo la Caritas l’unica strada percorribile è quella di un piano pluriennale di contrasto alla povertà, “che porti alla introduzione nel nostro Paese di una misura universalistica contro la povertà assoluta”. Più che dei fondi a pioggia, è il ragionamento c’è bisogno di politiche del lavoro tese a contrastare la disoccupazione, in modo particolare quella giovanile, promuovere percorsi di studio e di formazione per i giovani, intervenire sulla questione migratoria. Alcune di queste questioni dovrebbero essere già affrontate nel disegno di legge di contrasto alla povertà, che sarà discusso nelle prossime settimane. “Ora è il tempo delle scelte concrete – conclude il rapporto dell’organismo pastorale della Conferenza episcopale – Occorre affrontare la sfida di un progetto di welfare dedicato ai più deboli, del percorso per realizzarlo e di come ci immaginiamo le politiche sociali del nostro Paese ora e negli anni a venire”.
Per il momento, l’ormai prossima manovra finanziaria dovrebbe prevedere 500 milioni di euro con cui finanziare il fondo anti-povertà a partire dal 2018, ma alla Camera il capogruppo di Sinistra Italiana, Arturo Scotto, avvisa: “Renzi dice che lo stanziamento di quei soldi è legato alla spending review, ma la ragioneria di Stato dice che i risparmi hanno fruttato solo 57 milioni”. La domanda così nasce spontanea: dove si troveranno i mancanti 443 milioni?
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