Animal Equality

Qual è il legame tra l’industria della carne e la deforestazione in Amazzonia

Quali sono i collegamenti tra l’industria della carne e la deforestazione dell’Amazzonia e qual è il ruolo dell’Italia.

Animali in fuga mentre la foresta viene inghiottita dalle fiamme, fumo e terra bruciata a perdita d’occhio. Queste immagini raccontano la devastazione del Brasile arso dagli incendi illegali appiccati per lasciare il posto ad allevamenti intensivi e alla coltivazione di soia. Il video reportage di Animal equality, frutto della ricerca condotta dal team investigativo nelle foreste del Pantanal e nella savana del Cerrado, racconta attraverso la voce della cantautrice Giorgia una realtà drammatica che sta distruggendo un intero ecosistema.

La devastazione colpisce ambiente, clima e animali

Nel 2020, il 29 per cento della superficie del Pantanal, la zona umida più estesa al mondo, è stata distrutta da incendi appiccati quasi del tutto in maniera illegale (il 99,8 per cento secondo una ricerca di MapBiomas). Nello stesso anno, il Cerrado è stato dimezzato: i terreni della savana andati disboscati rappresentano un’area dalle dimensioni paragonabili a quelle di Spagna, Portogallo, Italia e Inghilterra messe assieme. Il ritmo della devastazione, secondo le testimonianze dei vigili del fuoco, è di migliaia di incendi ogni giorno. Un danno enorme per la biodiversità e il regime alluvionale del Brasile, che sta vivendo la peggiore siccità degli ultimi quarantacinque anni.

Le immagini raccolte lungo la Transpantaneira, una strada che attraversa la regione del Pantanal, testimoniano intere aree distrutte dal fuoco e una grave mancanza di acqua che sta causando la morte di volatili, mammiferi, anfibi e rettili. Molti animali domestici (in particolare bovini) e selvatici, inoltre, presentano gravi ferite con ustioni. Le bruciature a zoccoli e zampe risultano così profonde da far perdere tutto il tessuto cutaneo e i muscoli fino all’esposizione dell’osso. Oltre a provocare un dolore intenso, queste gravi ustioni rendono impossibile agli animali muoversi correttamente in cerca di cibo e acqua.

I business di carne e soia sono dietro la deforestazione nell’Amazzonia

Comprendere lo scenario globale che provoca questa deforestazione è necessario per compiere scelte consapevoli. Secondo le ricerche svolte da organizzazioni per la protezione degli animali come Animal equality e altre realtà come Greenpeace e Wwf, gli allevatori appiccano illegalmente gli incendi nelle terre native che possiedono, oppure in quelle statali che invadono, in cerca di nuovi spazi da convertire in pascoli per bovini che verranno mandati al macello e venduti come prodotti alimentari sul mercato internazionale.

Lo stesso accade con lo scopo di destinare le aree deforestate alla coltivazione di piantagioni di soia, che costituisce la maggior parte del mangime fornito agli animali presenti negli allevamenti intensivi di tutto il mondo. Secondo le stime, gli allevamenti intensivi e i macelli industriali sono così responsabili di oltre l’80 per cento della deforestazione del territorio brasiliano.

Negli ultimi 25 anni, in Brasile solo l’1 per cento delle multe per deforestazione è stato pagato nonostante le informazioni a disposizione della polizia siano sufficienti per incriminare alcuni dei produttori coinvolti negli incendi. Ma il giro di affari dietro allo sfruttamento di questi terreni è enorme. La Segreteria del commercio estero del Brasile (Secex) riporta che i ricavi delle spedizioni di prodotti freschi e lavorati nel 2020 sono aumentati dell’11 per cento, raggiungendo gli 8,4 miliardi di dollari su scala globale.

Anche l’Italia e l’Ue giocano un ruolo importante negli incendi del Pantanal

Dal piccolo allevatore brasiliano passando per le grandi industrie della carne, fino al nostro piatto, la catena della distruzione non ci sfiora soltanto, ma ci investe in pieno. Se il Brasile è il più grande esportatore al mondo di carne bovina, infatti, il nostro Paese è il suo primo importatore in Europa. Nel 2020, le esportazioni verso l’Italia hanno registrato un record di 2.016 milioni di tonnellate, in aumento dell’8 per cento rispetto all’anno precedente e in ulteriore crescita anche nel 2021 secondo quanto riportato dall’Italian trade agency. Questo significa che l’Italia, secondo i calcoli di Etifor, ha indotto una deforestazione associata al consumo di carne compresa fra i 5.900 e gli 11.153 ettari all’anno.

Un esempio di quanto il mercato globale stia sfruttando le foreste è un prodotto considerato di origine del tutto locale in Italia, la bresaola. Eppure, ad oggi il 70 per cento della carne per la produzione di bresaola Igp utilizza materia prima proveniente dal Sud America. Una delle principali aziende italiane di produzione di bresaola, Rigamonti, è inoltre direttamente collegata alla multinazionale della carne Jbs, accusata di produrre su terreni disboscati illegalmente.

Per quanto riguarda l’Unione europea, il Wwf afferma che un quinto (17 per cento) della carne bovina importata dal Brasile è legato alla deforestazione illegale. Secondo lo studio The rotten apples of Brazil’s agribusiness anche il 20 per cento della soia utilizzata in Europa potrebbe provenire da deforestazione illegale.

L’appello di Animal equality

Al fine di garantire che l’accordo commerciale Ue-Mercosur non aggravi i maltrattamenti sugli animali e la distruzione ambientale legati alla produzione illegale di carne bovina in Brasile, Animal equality chiede all’Unione europea di non ratificare l’accordo commerciale Ue-Mercosur fino a quando l’Ue non adotterà un’opportuna legislazione che regoli i prodotti importati con standard specifici per il benessere degli animali e la sostenibilità ambientale.

Nonostante la condanna dei funzionari dell’Ue infatti, la produzione illegale di carne bovina in Brasile continua a essere pesantemente sovvenzionata con denaro pubblico, alimentando la distruzione irreversibile dell’Amazzonia, del Cerrado e del Pantanal, nonché il trasporto illegale e la macellazione di milioni di animali.

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