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Il 51 per cento dei litorali italiani trasformato da case e palazzi, al ritmo di 8 chilometri l’anno. La denuncia di Legambiente.
Non sono numeri positivi quelli presenti nell’ultimo rapporto redatto da Legambiente “Ambiente Italia 2016” ed edito da Edizioni Ambiente. Anzi i dati registrati continuano a crescere, in negativo: le coste italiane sono tutt’altro che al sicuro, anche a fronte dei cambiamenti climatici oggi in atto.
Secondo il rapporto infatti il 51 per cento delle coste italiane è già stato trasformato dal cemento. 6.477 chilometri di costa che vanno da Ventimiglia a Trieste, isole maggiori comprese, occupate in maniera irreversibile da industrie, porti, infrastrutture, centri urbani. C’è poi la diffusione sfrenata di ville e villette sulla costa, che da sole coprono il 25 per cento dell’intero litorale italiano. Sicilia, Calabria e Puglia detengono il primato per densità, mentre è la Sardegna a risultare la più virtuosa, la meno urbanizzata d’Italia.
“Il Rapporto Ambiente Italia presenta una fotografia di questi impatti con dati davvero inquietanti e studi che dimostrano come sia possibile invertire questa situazione attraverso un cambio delle politiche”, spiega Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente e curatore insieme a Sebastiano Venneri e Giorgio Zampetti del volume in una nota stampa. “Proprio la sfida che i cambiamenti climatici pongono alle aree costiere del Mediterraneo, con impatti significativi sugli ecosistemi, sulla linea di costa e sulle aree urbane, deve portare a una nuova e più incisiva visione degli interventi. Occorre rafforzare la resilienza dei territori ai cambiamenti climatici e spingere verso la riqualificazione e valorizzazione diffusa del patrimonio costiero”.
L’urbanizzazione selvaggia, quella vietata dal 1988 con la legge Galasso che prevedeva di tutelare le aree entro i 300 metri dalle coste, è invece cresciuta a ritmi vertiginosi: 8 chilometri l’anno coperti dal cemento, 25 metri al giorno.
Ma non è questo il problema maggiore: erosione delle coste e cattiva depurazione delle acque sono due della cause che mettono più a repentaglio la salute dei mari e dei litorali. Ancora oggi, nonostante due sentenze di condanna della commissione europea, un quarto dei cittadini italiani non ha accesso ad un adeguato servizio di depurazione dei reflui.
E c’è poi quel terzo di spiagge già in erosione, come spiegato dal contributo di Enzo Pranzini. E, mentre si intensificano eventi estremi, sembra sempre più difficile contrastare questo fenomeno. Sono infatti insufficienti gli interventi messi in opera fino ad oggi: spesso le scogliere artificiali infatti non permettono il ricambio idrico e la sedimentazione, aumentando il problema, piuttosto che risolverlo. “Per il futuro delle aree costiere abbiamo la possibilità di ispirarci e scegliere un modello che si è già rivelato di successo. Quello delle aree protette e dei territori che hanno scelto di puntare su uno sviluppo qualitativo e che stanno vedendo i frutti positivi anche in termini di crescita del turismo. Come il sistema di 32 aree protette nazionali, che sono un esempio virtuoso di gestione delle aree costiere di cui essere orgogliosi”, conclude Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente. “Per dare una spinta a questa prospettiva occorre però che ci siano regole chiare, senza dimenticare che il nostro Paese deve anche muovere le ruspe per demolire le migliaia di case abusive che deturpano le nostre coste e avviare operazioni di riqualificazione in aree che potranno, in questo modo, avere un futuro turistico fuori dal degrado”.
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