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Ceta, al via una nuova campagna per chiedere la bocciatura del controverso trattato tra Ue e Canada

Il Ceta non disegnerebbe scenari di sviluppo sostenibile, ma rimarrebbe sulla stessa strada che ha portato alla crisi ambientale di oggi e decidere liberamente della nostra vita e di quella del Pianeta che abitiamo è un nostro diritto.

Una nuova campagna internazionale per chiedere la bocciatura del Ceta, il trattato di libero commercio tra Unione europea e Canada attualmente attivo in modalità provvisoria ma ancora in attesa di ratifica da parte dell’Italia, è stata lanciata con il nome Stop Isds – Diritti per le persone, regole per le multinazionali. L’obiettivo è chiedere lo stralcio delle clausole arbitrali da tutti gli accordi commerciali e di investimento in vigore e in fase di trattativa, e invitare gli Stati membri ad approvare un trattato vincolante Onu sulle multinazionali e i diritti umani. Il lancio è avvenuto il 4 febbraio presso la Camera dei Deputati nell’ambito della la conferenza stampa “Stop Ttip, Stop Ceta: riparte la campagna”, che ha visto la partecipazione di varie organizzazioni tra cui Navdanya International e di parlamentari di diversi schieramenti, proprio per chiedere l’immediata bocciatura del controverso trattato.

Una maniferstazione contro il Ceta, il trattato commerciale euro-canadese
Una maniferstazione contro il Ceta, il trattato commerciale euro-canadese

Un trattato che aggrava una situazione già pessima

Dal punto di vista agroalimentare e ambientale il Ceta è un trattato che non disegnerebbe nuovi scenari di sviluppo sostenibile ma continuerebbe sulla stessa strada, e con la stessa logica, che ha condotto all’attuale crisi ambientale, sanitaria ed economica. Il mercato attuale, in cui sono costretti a muoversi piccoli e medi produttori ecologici, è già un mercato distorto condizionato dalle regole del commercio internazionale. Anche se il Ceta non venisse approvato, i problemi relativi al mercato, insomma, non sarebbero risolti.

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Un esempio su tutti è quello del grano canadese al glifosato. Non c’è stato bisogno del Ceta per far sì che un pacco di pasta italiano su cinque contenesse tracce di questo grano malsano per la nostra salute e per il lavoro dei produttori locali italiani. L’Europa è già dunque responsabile di alimentare un mercato schizofrenico. Come sottolineato nell’ultimo report dell’Ipes-Food, oltre il 30 per cento della terra necessaria a soddisfare la domanda del mercato europeo è ubicata al di fuori dell’Europa. Il 20 per cento del cibo prodotto in Europa va perso lungo la filiera e cestinato.

glifosato germania manifestazione bayer
Una manifestazione contro il glifosato in Germania © Sean Gallup/Getty Images

Il cibo spazzatura è inoltre responsabile del 49 per cento delle malattie cardiovascolari, il principale fattore di mortalità in Europa, mentre il 50 per cento della popolazione europea è sovrappeso, oltre il 20 per cento è obesa. A fare le spese di questa situazione, le fasce delle popolazioni meno abbienti, ovvero i cittadini a basso reddito che per arrivare a fine mese cercano di risparmiare proprio sul cibo: nel 2016, circa 43 milioni di persone, il 9,1 per cento della popolazione europea, non risultavano in grado di permettersi un’alimentazione di qualità su basi quotidiane. Insomma, l’approvazione del Ceta aggraverebbe una situazione già ampiamente compromessa. Non ci possiamo permettere in questo contesto di ratificare un trattato che apre le porte ad ulteriore cibo spazzatura, di cui non conosciamo provenienza e contenuti.

Chi gioverebbe del trattato Ceta

Così come configurato, il Ceta rafforzerebbe le posizioni di dominio, di oligopolio, delle compagnie dell’agribusiness. Il 70 per cento del settore agroalimentare globale è sotto il controllo di poche multinazionali, in Europa il 60 per cento della distribuzione è dominato da non più di cinque aziende. Gli Isds rappresentano un ulteriore strumento per esercitare pressione sugli Stati ed ottenere profitti milionari grazie ad un meccanismo giuridico ad hoc.

Gli Isds, strumento utilizzato dalle multinazionali per ottenere compensazioni milionarie dagli Stati in caso di legislazioni avverse ai loro interessi economici, permettono di esercitare pressione sulle normative nazionali a scapito di cittadini e ambiente. Nel caso del Ceta, a seguito delle proteste della società civile, è stato introdotto un nuovo sistema: l’Investment court system (Ics) che continua “ad essere un sistema ad esclusivo utilizzo degli investitori esteri e a basarsi su fonti di diritto che non contengono disposizioni vincolanti su materie fondamentali come i diritti umani o il clima”. Come si evince dal rapporto, “negli ultimi trent’anni, in tutto il mondo, gli Stati hanno dovuto pagare 84,4 miliardi di dollari alle imprese private a seguito di sentenze sfavorevoli (67,5 miliardi) o costosi patteggiamenti (16,9 miliardi). Una cifra enorme sottratta a potenziali misure volte a promuovere e tutelare l’interesse generale, i servizi pubblici, l’ambiente”.

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È allora necessario discutere non solo il merito del Ceta ma anche il sistema che permette che questi trattati, scritti a porte chiuse e con una massiccia influenza delle lobby industriali, siano proposti, a volte imposti, ai nostri parlamenti nazionali. Il manifesto di Navdanya International, Transitioning from corporate globalization to economic democracy, rappresenta un atto di accusa contro il sistema economico delle multinazionali e indica i principi per riconquistare quegli spazi di autonomia democratica che è nostro diritto avere per decidere liberamente della nostra vita e di quella del Pianeta che abitiamo.

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