Il corposo rapporto consegnato da Mario Draghi su competitività ed economia sembra far primeggiare innanzitutto le necessità delle imprese.
In Italia c’è ancora chi investe nella bomba atomica
Ancora oggi, 390 banche e fondi investono nelle armi nucleari. È quanto emerge dal rapporto “Don’t bank on bombs” di Ican e Pax. Per fortuna però le cose stanno cambiando…
Le armi nucleari rimandano a scenari da Guerra fredda che in molti forse credono relegati al passato. Eppure, ancora oggi, nel 2016, banche e istituzioni finanziarie investono direttamente o indirettamente nell’industria degli armamenti nucleari. E non stiamo parlando di piccole somme: 498 miliardi di dollari fra gennaio 2013 e agosto 2015, secondo quanto afferma il rapporto “Don’t bank on the bomb” pubblicato nel dicembre scorso dalla Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican) e dall’ong pacifista olandese Pax.
Top 10 a stelle e strisce ma l’Europa non è lontano
Sul podio delle banche più esposte nel finanziamento della bomba atomica troviamo solo istituti americani: Blackrock, Capital Group e Vanguard. Con 89 miliardi di dollari investiti in tre anni, le banche a stelle e strisce si accaparrano del resto tutti i primi dieci posti di questa particolarissima classifica. Purtroppo le banche europee le tallonano. Prima fra tutte la francese BNP Paribas che si è dotata di norme interne contro gli investimenti nel nucleare militare, avendo però cura di escludere i paesi della Nato. Risultato: dal 2013 la banca ha investito più di 9 miliardi di dollari nella bomba atomica. A seguire la tedesca Deutsche Bank con 3,7 miliardi di dollari e ING con 457 milioni.
Anche alle banche italiane piace la bomba atomica
Ebbene si, la classifica delle banche più esposte nei confronti dell’industria delle armi nucleari parla anche italiano. Sono dieci le istituzioni finanziarie del nostro paese identificate dagli autori del rapporto. Fra loro, nomi noti come Monte dei paschi di Siena, Unicredit e Intesa San Paolo, ma anche realtà locali come la Banca popolare di Sondrio. A beneficiarne, per un totale di 4 miliardi di euro investiti, sono in primis il colosso nazionale dell’armamento Leonardo (già Finmeccanica), ma anche le americane Boing e Honeywell e la britannica Serco che detiene la maggioranza di AWE, la società che produce e revisiona l’arsenale nucleare di Sua maestà.
Verso la messa al bando nel 2017
L’approccio responsabile alla finanza guadagna terreno e sempre più banche, fondi pensioni e assicurazioni stanno introducendo regolamenti interni che vietano ogni tipo di investimento nelle armi nucleari. Il rapporto di Ican e Pax sono 18 le banche che meritano un posto nella Hall of fame. Fra loro anche un’italiana, Banca Etica. Altre 36 – definite Runners-up – dispongono di regolamenti che cercano di limitare in qualche modo l’esposizione della banca nei confronti del settore nucleare militare. Fra di loro troviamo anche le già citate Unicredit e Intesa San Paolo. A ciascuna di queste le ong indirizzano proposte su misura per liberarsi completamente dagli investimenti negli armamenti nucleari. “I governi hanno deciso di negoziare un trattato di messa al bando della armi nucleari nel 2017, ricorda Susi Synder, autrice del rapporto per Pax. Ora è tempo che le banche, i fondi pensione e le compagnie di assicurazione si preparino e mettano fine a tutte le relazioni con le imprese di armamenti nucleari”.
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