
Per la prima volta nel 2025 si celebrano le più grandi fonti di acqua dolce del pianeta, che fronteggiano la sfida dei cambiamenti climatici.
L’80% dei Paesi esportatori gestisce male le proprie risorse minerarie e di petrolio. Peccato. Oltre un miliardo di persone potrebbero vivere meglio.
Una nuova classifica si aggiunge ai rapporti che ci consentono una
più chiara comprensione di come il mondo sta affrontando la
crisi ecologica: la fornisce il Revenue
Watch Institute di New York, che ogni anno da qui in
poi rilascerà il Resource Governance Index.
La grande maggioranza dei Paesi gestisce male le proprie
risorse minerarie e di petrolio
Più dell’80% dei
maggiori esportatori mondiali di petrolio, gas e minerali fallisce
nel rispettare “standard accettabili” nella gestione delle loro
risorse naturali. Il rapporto usa tutti gli indicatori economici e
geopolitici necessari per tracciare problemi politici, ambientali,
sociali, di inefficienza e di corruzione.
58 Paesi sono stati analizzati su parametri di trasparenza e
rendicontazione dei proventi dalle attività industriali nei
settori indicati. L’indice è stato realizzato anche per dare
ai Paesi ricchi uno strumento in più per evitare di alimentare
la “maledizione delle risorse”, il fenomeno per cui molte economie
povere, seppur ricche di materiali preziosi, non solo non riescono
a trarne vantaggi ma vengono depauperate anche a livello ecologico
e lavorativo da chi sfrutta le loro risorse. Una scarsa
sorveglianza istituzionale è concausa della crescita lenta di
molte economie emergenti. “La vita di oltre un miliardo di persone
potrebbe essere trasformata se solo i loro governi imparassero a
gestire correttamente le loro risorse, in modo aperto e
trasparente” afferma Revenue Watch, presentando il Resource
Governance Index.
Resource Governance Index: i Paesi
poveri
L’indice di gestione delle risorse classifica i
Paesi in una scala da 1 a 100. La Norvegia è al primo posto
con un punteggio nella governance di 98, seguita dagli Stati Uniti
con 92. La Birmania ha il punteggio più basso, 4, a
un’incollatura dal Turkmenistan.
I Paesi vengono giudicati su quattro aree: cornice legale, livelli
di trasparenza, controlli dei governi sulle attività nel
territorio, capacità di gestione. Solo 11 dei 58 Paesi
esportatori è sopra il livello “accettabile” di 70. Secondo
Revenue Watch “Oltre metà del campione, 32 Paesi, non
raggiunge nemmeno standard di base nella governance delle sue
risorse, controllando male o addirittura non controllando”. I
peggiori paesi sono tra l’altro quelli che basano la propria
economia quasi totalmente sui profitti dalle attività
estrattive o petrolifere. L’indice cita ad esempio la Nigeria, i
cui soli profitti dal petrolio sopravanzano del 60 per cento il
totale degli aiuti concessi all’Africa sub-Sahariana nel 2011; la
Libia, che pur essendo il secondo produttore africano di petrolio
sta dando fondo alle riserve monetarie della sua banca centrale; e
la Guinea Equatoriale, che statisticamente ha un reddito procapite
maggiore dell’Inghilterra ma tre quarti della sua popolazione vive
sotto la soglia di povertà. Revenue Watch fa anche notare i
casi dell’Arabia Saudita e dell’Afghanistan, piazzati molto in
fondo nella classifica, al 48esimo e 49esimo posto.
Resource Governance Index: i Paesi ricchi
Ma
anche i Paesi alti in classifica non sfuggono a rilievi critici:
“Canada, Usa e Australia dovrebbero obbligare le loro compagnie
minerarie ed energetiche a non avvantaggiarsi dell’opacità dei
molti Paesi dove operano – nota Daniel Kaufmann, presidente di
Revenue Watch – ma anche nei mercati domestici devono essere
compiuti passi avanti”. Kaufmann punta l’attenzione sul Dodd-Frank
Act americano del 2010 che richiedeva alle aziende con concessioni
pubbliche di dichiarare pubblicamente quanto versano allo Stato per
quelle concessioni, ma alcune organizzazioni commerciali stanno
ricorrendo a corti federali e locali per evitarlo. Un cambiamento
in peggio delle regole, un esempio negativo che, attraverso le
politiche delle multinazionali con quartier generale in Usa,
potrebbe propagarsi in tutto il mondo.
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