Tra i mesi di ottobre 2024 e settembre 2025 la temperatura media nell’Artico è stata di 1,6 gradi centigradi più alta rispetto al periodo 1991-2020.
Il nuovo presidente della Colombia, Gustavo Petro, vuole svincolare l’economia dai combustibili fossili. A cominciare dallo stop alle nuove concessioni.
“Abbiamo deciso di non rilasciare più nuove concessioni per l’esplorazione di gas e petrolio. Sebbene questo sia stato un tema molto controverso a livello nazionale, per noi è un segnale chiaro del nostro impegno contro i cambiamenti climatici. Perché sappiamo che questa è una decisione planetaria e assolutamente urgente che necessita di azioni immediate”. Con queste parole, pronunciate giovedì 19 gennaio durante un panel del World economic forum di Davos, la ministra delle Miniere e dell’energia della Colombia, Irene Veléz, annuncia un netto cambio di passo nella transizione energetica del paese sudamericano.
Gustavo Petro, presidente della Colombia dall’estate del 2022, ha incentrato la propria campagna elettorale anche sulla promessa di porre fine alla dipendenza del paese dalle risorse petrolifere. Nei suoi primi mesi di amministrazione però si è trovato a fare i conti con un Congresso diviso, in cui nessun partito detiene la maggioranza dei seggi, e con prospettive economiche piuttosto cupe. Addirittura il ministro delle Finanze José Ocampo l’aveva contraddetto in più occasioni, dichiarando alla stampa che la Colombia avrebbe rilasciato nuove autorizzazioni alle esplorazioni petrolifere.
L’annuncio della ministra Irene Veléz sembra aver chiarito una volta per tutte la posizione dell’amministrazione. Ed è stata poi confermata da Gustavo Petro. Rivolgendosi ai giornalisti a Davos, il presidente colombiano ha affermato: “Siamo convinti che i forti investimenti nel turismo, considerata la bellezza del nostro paese, e la capacità e il potenziale che il paese ha per la produzione di energia pulita, possano – nel breve termine – colmare perfettamente il vuoto lasciato dai combustibili fossili”.
La Colombia in realtà non ha bisogno di combustibili fossili per sé stessa, visto che già oggi soddisfa circa l’80 per cento del proprio fabbisogno con le fonti rinnovabili, idroelettrico in primis. Il problema sta nel fatto che, soprattutto nell’arco degli ultimi quattro decenni, il paese ha puntato tantissimo sulle esportazioni. Nel 2020 il petrolio greggio era il bene più esportato all’estero, con un giro d’affari di quasi 6,9 miliardi di euro, diretto soprattutto verso gli Stati Uniti (quasi 2,5 miliardi), la Cina (2 miliardi) e Panama (poco meno di un miliardo). Insomma, il petrolio è diventato un caposaldo dell’economia colombiana. La scelta di Pedro appare dunque coraggiosa, tanto più per uno stato “vicino di casa” del Venezuela, vittima di un tracollo economico che ha costretto milioni di persone a emigrare.
Gustavo Petro però è convinto del fatto che “il mercato non è il meccanismo principale per superare la crisi climatica. È stato il mercato, con l’accumulo del capitale, a produrla. E non sarà mai il suo rimedio”, per riprendere le parole che ha pronunciato alla Cop27 di Sharm-el-Sheikh. “La crisi climatica si può superare solo se smettiamo di consumare idrocarburi”.
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