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Stiamo vivendo un periodo di crisi interconnesse: ambientale, alimentare ed energetica. Emergenze, acuite dal conflitto bellico in Ucraina, che stanno evidenziando in maniera molto chiara tutti i limiti del modello dell’agricoltura industriale. Ritengo però che fosse chiaro da tempo, già da molto prima della guerra, quanto l’agricoltura intensiva sia superata e quanti danni abbia provocato
Stiamo vivendo un periodo di crisi interconnesse: ambientale, alimentare ed energetica. Emergenze, acuite dal conflitto bellico in Ucraina, che stanno evidenziando in maniera molto chiara tutti i limiti del modello dell’agricoltura industriale. Ritengo però che fosse chiaro da tempo, già da molto prima della guerra, quanto l’agricoltura intensiva sia superata e quanti danni abbia provocato dal punto di vista ambientale, economico, sanitario e sociale.
Stiamo pagando una somma di errori che derivano da un modello agricolo ormai inadeguato. L’agricoltura industriale ha creato evidenti criticità: il consumo di suolo, il crollo della biodiversità, l’aumento delle emissioni serra, l’inquinamento delle falde idriche, fino all’abbandono delle terre. Inoltre, l’impennarsi del costo di pesticidi e concimi chimici, uniti a quelli dell’energia, rischia davvero di strangolare le imprese agricole costringendole alla chiusura, visto che i prezzi dei prodotti per gli agricoltori e gli allevatori coprono ancora meno i costi di produzione. Ecco perché è assolutamente necessario e urgente ripensare il nostro sistema di produzione alimentare per renderlo più indipendente da input esterni e più resiliente.
In questo scenario, non vanno certo ridimensionate le politiche green europee. Al contrario, è proprio questo il momento in cui occorre spingere per accelerare la transizione ecologica e la conversione al biologico dei sistemi agricoli. La riduzione dei pesticidi e dei fertilizzanti di sintesi è un elemento fondamentale per rendere i sistemi agricoli più sostenibili anche da un punto di vista economico, oltre che per ridurre gli impatti dannosi sia per la salute dell’uomo che per l’ambiente. La transizione agroecologica è l’unica soluzione che salvaguarda la terra garantendo la fruizione dei servizi ecosistemici indispensabili per un’agricoltura sana per l’uomo e l’ambiente. L’emergenza alimentare non deve farci cadere nella tentazione di guardare a posizioni che si basano su un sistema di conoscenze del passato e che puntano a riproporre l’uso di pesticidi già in fase di bando e fertilizzanti di sintesi chimica come soluzione per il futuro invece di accelerare la svolta verso l’agroecologia. Ci è sembrato quindi paradossale l’ipotesi di rinviare a data da destinarsi la nuova normativa europea sui pesticidi, che punta a ridurre del 50 per cento l’uso dei pesticidi entro il 2030, uno degli obiettivi al centro del Green deal e in particolare delle strategie Farm to fork e Biodiversità. Questo rinvio rallenterebbe anche la tanto attesa semplificazione delle procedure per le autorizzazioni dei prodotti per il biocontrollo, danneggiando quindi anche l’agricoltura integrata e biologica.
L’altro controsenso, che rischia di pregiudicare gli ambiziosi obiettivi delle politiche green Ue, è stata la decisione di mettere a coltura anche i terreni che secondo il regolamento della Pac dovevano essere destinati ad aree di interesse ecologico. E cosa ancora più grave è stato consentire di farlo in maniera intensiva, consentendo l’utilizzo di diserbanti, pesticidi e concimi di sintesi. Un contro senso in questo momento, dati i costi del tutto insostenibili per gli agricoltori. Una scelta che rischia di contaminare il suolo per decenni con devastanti conseguenze in termini di perdita di biodiversità e che poteva essere evitata scegliendo di coltivarle con il metodo bio. Una risposta concreta alla crisi alimentare è rappresenta invece dal biologico, un metodo di coltivazione che guarda contemporaneamente alla salute delle persone e dei campi. L’unico modello che può assicurare un futuro agli agricoltori, offrendogli la possibilità di spuntare prezzi che permettono alle aziende di andare avanti. Per riuscire a cambiare rotta e puntare all’autosufficienza alimentare occorre investire su modelli virtuosi come i distretti biologici e su filiere di prodotti bio fondate sul principio del giusto prezzo.
Infine, per quanto riguarda la discussa questione delle rese, è ormai scientificamente provato che nel medio e lungo periodo le rese colturali dell’agricoltura biologica, sono del tutto comparabili se non addirittura superiori a quelle dell’agricoltura convenzionale, che per mantenere rendimenti elevati deve utilizzare ingenti quantitativi di fertilizzanti azotati, diserbanti e acqua che nel tempo favoriscono fenomeni di desertificazione del suolo mettendo a rischio la produzione di cibo per le generazioni future.
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