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Nuovi dati rivelano che tra il 2016 e il 2018 c’è stata una perdita globale record di copertura arborea, soprattutto a causa dell’agricoltura.
Le foreste svolgono per noi, gratuitamente, una serie di servizi letteralmente vitali, tra cui l’assorbimento di grandi quantità di CO2. Ciononostante, in tutto il mondo, le foreste continuano e venire distrutte per la miopia dei governi e con il beneplacito, più o meno consapevole, dei consumatori. Tra il 2016 e il 2018 questa tendenza ha vissuto il suo picco, e la perdita di copertura arborea globale ha raggiunto livelli record, con la scomparsa di una superficie alberata equivalente alle dimensioni di un campo da calcio ogni secondo.
Questi dati allarmanti provengono dallo studio Classifying drivers of global forest loss, pubblicato su Science nel 2018 e recentemente aggiornato dal World resources institute (Wri) e dal Sustainability consortium per includere le informazioni relative al biennio 2016-2018. I ricercatori, utilizzando immagini ad alta risoluzione di Google Earth, hanno misurato la perdita globale di foreste dal 2001 al 2015 e ne hanno analizzato le cause.
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La perdita di copertura forestale, hanno sottolineato i ricercatori, può essere provocata da due fattori ben distinti: deforestazione e forest loss. Mentre il primo provoca una perdita definitiva di copertura arborea, dovuta ad un cambiamento permanente nell’uso del suolo, il secondo indica una perdita che può essere temporanea, se causata da tagli o disturbi naturali, come gli incendi, dopo i quali la foresta si rigenera.
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L’obiettivo dello studio era proprio stabilire quanta perdita di copertura arborea fosse provocata dalla deforestazione e, quindi, permanente, per elaborare politiche forestali più efficaci e aiutare la aziende a rendere più sostenibili le proprie catene di approvvigionamento di materie prime.
Dai dati raccolti è emerso che poco più di un quarto della perdita globale di foreste, il 27 per cento, è dovuta alla deforestazione, mentre il resto è imputabile a selvicoltura, incendi e agricoltura di sussistenza su piccola scala, avvenimenti dopo i quali le foreste sono in grado di rigenerarsi.
La principale causa di perdite di foreste, perlomeno nelle aree tropicali, continua ad essere l’agricoltura. Per creare nuove aree da coltivare grandi aree di foresta continuano ad essere rase al suolo e riconvertite. “I dati aggiornati mostrano che nella maggior parte del mondo i fattori dominanti relativi la perdita della copertura arborea sono rimasti relativamente invariati dalla nostra analisi originale 2001-2015 – ha affermato Nancy Harris, autrice dello studio -. Questo significa che abbiamo fatto pochissimi progressi per affrontare le principali cause, come la produzione di materie prime, che stanno causando perdite di foreste su così vasta scala”.
Nelle foreste temperate e boreali la perdita di copertura arborea è invece causata in prevalenza da incendi e selvicoltura, fattori compresi nella forest loss e i cui effetti non sarebbero pertanto permanenti. Solo in Nord America, tra il 2016 e il 2018, le fiamme hanno causato la perdita di oltre cinque milioni di ettari di foreste.
Questa tendenza, come testimoniato dai terribili incendi che negli scorsi mesi hanno devastato numerose aree del pianeta, come Amazzonia, Africa e Australia, è in costante aumento, accentuata dagli effetti della crisi climatica in atto, e lascia presagire un futuro sempre più rovente, tanto che c’è già chi ha battezzato il periodo in cui viviamo con l’appropriato nome di Pirocene.
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Nelle aree tropicali quasi la metà della perdita totale di copertura arborea è stata causata da attività agricole, come la realizzazione di piantagioni di palma da olio e pascoli per il bestiame, nonché l’espansione dell’agricoltura su piccola scala. Le foreste tropicali, in virtù della loro grande capacità di stoccare carbonio, giocano un ruolo fondamentale nella regolazione del clima mondiale. La deforestazione tropicale, secondo la Società italiana di selvicoltura ed ecologia forestale, è responsabile del 10 per cento del riscaldamento globale e la filiera della carne e delle pelli è responsabile del 60 per cento della deforestazione.
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La Colombia ha visto un drammatico picco di deforestazione nel 2018, con enormi aree riconvertite in pascoli per l’allevamento di bestiame volto alla produzione di carne bovina. Nel 2018 il paese sudamericano ha perso oltre 200mila ettari di foresta, la maggior parte della quale era foresta primaria, ovvero la più antica e con più biodiversità.
Anche in molte aree della Thailandia l’agricoltura si è intensificata con effetti negativi sulle aree verdi. A Chiang Mai ad esempio, città tra le montagne della Thailandia settentrionale, i metodi tradizionali di agricoltura di sussistenza sono stati gradualmente sostituiti da coltivazioni su larga scala, come quella di mais, per l’alimentazione del bestiame.
La deforestazione, in ultima analisi, viene continuamente alimentata dalla domanda di numerosi prodotti chiave, come olio di palma, soia, cuoio, carne di manzo, legname, pasta di legno e carta. Per arginarla le grandi aziende devono intensificare i loro sforzi nel rendere sostenibili le loro catene di approvvigionamento di materie prime. I consumatori, dal canto loro, possono fare acquisti in maniera consapevole, tenendo a mente che ciò che portiamo in tavola ha effetti concreti sull’ambiente e che con scelte oculate possiamo contribuire a evitare la deforestazione.
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