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Valorizzando ogni risorsa, il disability manager rende più efficiente e competitiva l’azienda nel suo insieme. Alcune tecnologie possono agevolarlo.
A cosa serve una persona disabile in azienda? La domanda è volutamente provocatoria, quasi scorretta, ma può servire come stimolo per una riflessione più ampia. Perché le leggi vigenti si limitano a imporre alle imprese con più di cinquanta dipendenti di riservare alcuni posti di lavoro alle cosiddette categorie protette, ma non dicono nulla sul valore aggiunto di queste risorse. Scoprirlo, e metterlo in luce, è il compito del disability manager. Che ora può contare anche sul prezioso supporto delle tecnologie.
Il disability manager in Italia è una figura professionale piuttosto nuova. Nella pubblica amministrazione si inizia a parlane nel 2009, ma a istituirla formalmente è il jobs act del 2015. Il suo compito? Creare le condizioni giuste affinché una persona disabile si inserisca con profitto in azienda. Il “come” dipende dal contesto specifico, perché le aziende non sono tutte uguali, e nemmeno le persone.
Come si evince chiaramente dal nome, si tratta di una figura manageriale. Ciò significa che deve conoscere le esigenze, i processi e gli obiettivi e scegliere le persone giuste che se ne possano occupare, interfacciandosi con vari interlocutori. Spetta a lui, per esempio, il compito di seguire l’inserimento della persona disabile in azienda, assicurarsi che il luogo di lavoro sia accessibile e dotato di tutti gli strumenti necessari. Come ogni manager, deve misurare i risultati di tutte queste attività e degli eventuali investimenti fatti: e deve farlo scegliendo i parametri giusti (quelli che in gergo aziendale si chiamano kpi, key performance indicator).
Abbattere gli ostacoli, creando quello che gli inglesi chiamerebbero level playing field (parità di condizioni), permette alle persone disabili di esprimere le proprie potenzialità. A vantaggio del loro stesso rendimento sul lavoro, ma anche dell’azienda nel suo insieme.
Qualche esempio? Quando si parla di barriere architettoniche viene spontaneo pensare a scale, porte troppo strette, ingressi privi di rampe. In questa società iperconnessa, in realtà, le barriere digitali sono importanti tanto quanto quelle fisiche. Pensiamo per esempio a quanto siano frequenti, e indispensabili, le conference call per chiunque svolga un lavoro d’ufficio.
Per una persona sorda possono risultare un ostacolo insormontabile: ecco quindi che entra in gioco un’app come Pedius, capace di trasformare la voce in testo e il testo in voce in tempo reale, grazie all’intelligenza artificiale. Partecipando attivamente alla conversazione, la persona dà un contributo reale senza bisogno di mediazioni. I colleghi, da parte loro, conoscendo la sua disabilità attivano quell’intelligenza emotiva che li porta a rispettare i turni e i tempi, evitando di sovrapporsi.
Se con il giusto grado di empatia è tutto sommato piuttosto semplice immedesimarsi in una disabilità motoria o sensoriale, la questione si fa più complessa quando entrano in gioco le neurodivergenze. Ricadono sotto questo termine-ombrello tutte quelle condizioni in cui il cervello funziona diversamente rispetto allo standard: invisibili dall’esterno, ma molto impattanti sulla vita quotidiana.
Il disability manager ha il compito di creare un ambiente in cui quella specifica persona riesca a esprimere le proprie competenze con profitto e, perché no, autentica soddisfazione. Anche in questo caso esistono dei servizi di supporto. Work-Aut, per esempio, è una cooperativa che sviluppa progetti di formazione e apprendistato ad hoc per persone autistiche. Un approccio lontano anni luce dall’assistenzialismo, perché indirizza ogni persona verso quelle attività per cui risulta più portata; che sia il controllo qualità delle merci, il confezionamento, la manutenzione e così via. L’azienda, dunque, richiede un determinato servizio e ha la garanzia che a svolgerlo sia un team già avviato.
Anche un disturbo specifico dell’apprendimento come la dislessia, solitamente vissuto come un intoppo a livello scolastico, sul lavoro può diventare prezioso quando c’è la necessità di pensare fuori dagli schemi per trovare spunti creativi. Non è un caso se l’imprenditore britannico Richard Branson, fondatore (tra gli altri) di Virgin Group, la definisce come il suo “superpotere”.
È proprio questo il compito del disability manager: valorizzare ogni persona con la sua disabilità, e non “nonostante” la sua disabilità. Questo va a vantaggio dell’organizzazione nel suo insieme che, così facendo, è portata a guardare il mondo con occhi diversi, sviluppare intelligenza emotiva, allargare gli orizzonti.
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