Le donne quechua combattono i trafficanti per difendere l’Amazzonia

Per la prima volta una donna è a capo dell’associazione di nativi peruviani quechua che lotta per allontanare trafficanti di droga e contrabbandieri.

Da un lato le montagne delle Ande, nei cui altipiani può capitare di imbattersi nelle rovine secolari della civiltà Inca. Dall’altro l’imponente Amazzonia, pur sempre la foresta più grande del mondo nonostante i continui ridimensionamenti. In mezzo, la regione di San Martin, nel Perù settentrionale, dove abita una comunità quechua, la popolazione nativa del Sud America che affonda le sue radici proprio nella storia degli Inca. Gli abitanti non possono godere appieno delle bellezze naturali che li circondano, perché questo lembo di terra è vittima da anni del traffico di droga e del contrabbando di legno. Per far fronte a questa situazione, le donne quechua hanno deciso di impegnarsi in prima persona: per la prima volta, una di loro è a capo dell’associazione di nativi peruviani che sta lottando per riprendere possesso della propria terra e riportarla ai fasti di una volta.

Marisol García Apagüeño, leader della comunità quechua © Fepickecha
Marisol García Apagüeño, leader della comunità quechua © Fepickecha

I problemi della regione di San Martin in Perù

Marisol García Apagüeño è l’unica donna leader della Federazione dei popoli indigeni quechua dell’Amazzonia che rappresenta 14 comunità minacciate dal disboscamento illegale, dal traffico di droga e dall’assenza di riconoscimento da parte del governo. La regione di San Martin è divenuta una delle rotte preferite dai malviventi perché la mancanza di controlli e la posizione favoriscono traffici illegali che coinvolgono Ecuador, Colombia e Brasile. Trafficanti di droga e taglialegna illegali hanno invaso le terre indigene e minacciato i leader della comunità, tra cui García Apagüeño, per aver segnalato i problemi al mondo esterno.

I quechua devono inoltre far fronte all’incapacità del governo peruviano di rilasciare certificati di proprietà delle terre alle comunità indigene, il che li lascia senza alcun diritto legale per lamentarsi delle invasioni nelle aree in cui abitano da secoli. “Possono uccidere uno, due, tre di noi, ma altri verranno a difendere la foresta, non ci stermineranno”, ha detto la portavoce quechua dimostrando un enorme coraggio.

Nel 2005, alcuni interventi maggiormente decisi delle forze dell’ordine e un nuovo interesse ambientale per l’Amazzonia avevano illuso i nativi di San Martin. Dopo il dramma dei decenni precedenti, quando le piantagioni di coca erano ovunque e le guerre fra trafficanti uccidevano anche molti innocenti, il periodo dei primi anni Duemila aveva dato nuova speranza ai quechua. Ora però sembra di essere ritornati agli incubi del recente passato: “Le difficoltà sono tornate e ancora una volta stanno perseguitando le comunità indigene. I problemi sono aumentati con la pandemia e le autorità non ci ascoltano, non fanno nulla”, spiega García Apagüeño. La situazione peggiora ogni giorno, tanto che i residenti riferiscono che il traffico di legname è aumentato durante la pandemia e lamentano che il traffico di droga è ricomparso prepotentemente. Entrambi questi fattori minacciano ancora una volta le loro vite, dato che i criminali sono pronti a tutto per mettere a tacere chi protesta o interferisce con i loro affari.

I quechua non sono padroni delle loro terre

Sebbene i quechua abitino in questa regione da migliaia di anni, nessuna delle 14 comunità associate è in possesso dei titoli ufficiali che le potrebbero indicare come proprietari dei terreni in cui si trovano i loro villaggi; tre gruppi non sono nemmeno ufficialmente riconosciuti come indigeni. Secondo i leader della federazione, l’ufficio del governo dipartimentale di San Martín procrastina la situazione di stallo.

Il problema risiede nella sovrapposizione di alcuni territori indigeni con aree protette, come nel caso della zona Cordillera Escalera Regional Conservation Area. Esiste una relazione tra attività illecite e mancanza di documenti relativi alla proprietà: senza queste attestazioni, i residenti indigeni non possono denunciare allo stato le invasioni dei trafficanti. A San Martín e nella regione amazzonica peruviana in generale, i malviventi abusano dei territori indigeni, disboscano la terra, vendono il legname e piantano coca.

Una volta sistemati sono difficili da rimuovere e minacciano i nativi locali. Una situazione che la leader quechua vuole interrompere: “È così grave che in molti non possono andarsene, è come se fossero stati rapiti dalle mafie: i trafficanti li seguono, conoscono tutti i loro movimenti. Sono più di 500 anni che resistiamo a tutti questi conflitti senza ottenere risposte efficaci dallo stato peruviano”. Nel 2018, i taglialegna illegali hanno rapito un Apu, ovvero uno dei capi della comunità di Santa Rosillo e lo hanno trattenuto per circa sei ore dopo che aveva pubblicizzato il problema del disboscamento illegale. Oltre a muoversi porta a porta per far conoscere il problema, García Apagüeño ha creato una web radio e una pagina Facebook per proseguire la sua lotta. Circondati da taglialegna illegali e trafficanti di droga, i quechua del Perù provano a riprendersi la loro terra. Seguendo l’esempio di una donna che ha deciso di dire basta.

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