I manifestanti lamentano gli effetti tragici dell’inflazione galoppante e l’immobilismo del governo Lasso.
Negli scontri sono morti tre manifestanti e le ong accusano la polizia di uso eccessivo della forza.
Il governo ha proposto un pacchetto con cui venire incontro ai manifestanti, giudicato insufficiente.
Da ormai dieci giorni l’Ecuador è scosso da proteste diffuse. Il 13 giugno la Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador (Conaie) aveva organizzato uno sciopero contro il governo conservatore di Guillermo Lasso per denunciare la precaria condizione economica e sociale in cui versa il paese, in particolare la popolazione indigena. Nel corso dei giorni le proteste hanno assunto una portata sempre più grande e si sono tradotte in violenti scontri tra manifestanti e polizia che hanno portato alla morte di almeno un indigeno e al ferimento di decine di persone.
Il governo Lasso ha introdotto misure eccezionali per favorire il mantenimento dell’ordine pubblico, ma ha anche annunciato alcune riforme sociali per rispondere alle rivendicazioni della comunità indigena. Che però chiede di più.
Perché si protesta in Ecuador
Il 13 giugno la Conaie, un’organizzazione che rappresenta le comunità indigene dell’Ecuador, ha organizzato uno sciopero nell’Ecuador rurale per alzare la voce contro il governo conservatore di destra guidato dal presidente Guillermo Lasso.
Tra le rivendicazioni c’erano i prezzi troppo alti della benzina e dei beni di prima necessità, la povertà e gli alti livelli di disoccupazione, gli scarsi investimenti nell’educazione e nella sanità e la richiesta di sussidi per l’agricoltura. Il tasso di povertà in Ecuador nel 2021 è arrivato al 32 per cento, dieci punti percentuali in più rispetto al 2015. Il tasso di povertà estrema è addirittura raddoppiato nello stesso periodo e la pandemia ha avuto un ruolo decisivo in questo senso, con il governo Lasso che è stato però ritenuto incapace di offrire un sostegno concreto alle persone più in difficoltà. A soffrire più di tutti questa situazione sono state le comunità indigene, che rappresentano il 25 per cento della popolazione totale dell’Ecuador. E proprio da loro è nata la protesta, che si è poi allargata al resto del paese.
I manifestanti hanno bloccato strade, occupato edifici istituzionali e assaltato alcuni luoghi nevralgici. Il governo ha perso il controllo della città di Puyo, mentre anche nella capitale Quito la situazione si è fatta via via più complessa e il presidente Lasso ha imposto uno stato di emergenza in alcune province, che dà più poteri alle forze dell’ordine e limita la libertà di movimento e assembramento della popolazione. Negli scontri dei giorni scorsi un uomo indigeno ha perso la vita, colpito in faccia da una granata stordente. Ma secondo la Human rights alliance, che accusa il governo di uso eccessivo della forza e di detenzioni arbitrarie, ci sarebbero altre due morti sospette tra i manifestanti, su cui sono state aperte delle indagini. Dal governo hanno fatto sapere che si sono perse le tracce di 18 agenti, mentre i feriti tra i manifestanti sarebbero almeno 90, con decine di arresti tra cui Leónidas Iza, il leader del Conaie, che ora è stato rilasciato. L’organizzazione non governativa Amnesty International ha parlato di “crisi dei diritti umani” in corso nel paese a causa della repressione delle proteste.
Il governo Lasso prova a dialogare
Non è la prima volta in tempi recenti che l’Ecuador è scosso da proteste profonde. Era già successo nel 2019, quando i manifestanti sempre guidati dal Conaie chiesero e alla fine ottennero dall’allora governo Moreno nuovi sussidi per la benzina. Simili moti hanno poi interessato altri paesi dell’America latina nell’ultimo periodo, come il Cile e la Colombia. Per evitare che le cose possano degenerare e visto anche il danno economico delle proteste stimato finora in 110 milioni di dollari, il presidente Lasso nelle ultime ore ha fatto alcuni passi nella direzione delle rivendicazioni dei manifestanti.
Il governo ha proposto un innalzamento di 5 dollari dei sussidi alle famiglie più in difficoltà, maggiori investimenti nell’istruzione e una sorta di sanatoria fiscale per chi ha contratto debiti con il fisco. Inoltre, è stata annunciata l’intenzione di bloccare il prezzo dei carburanti. Marlon Santi, coordinatore del movimento vicino ai popoli indigeni Pachakutik, ha riconosciuto che si è aperto un canale di dialogo con le istituzioni. Ma dal Conaie hanno invece respinto le aperture governative. Secondo il leader indigeno Leónidas Iza nessun accordo potrà mai essere raggiunto finché le forze di sicurezza continueranno a usare la violenza contro i manifestanti. Inoltre, il pacchetto presentato da Lasso è considerato insufficiente e sintomo dell’incapacità governativa di comprendere la gravità della situazione economico-sociale in cui versano milioni di persone.
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