Perché la finanza etica è sempre incompatibile con il business delle armi

La guerra in Ucraina ha rilanciato un dibattito su armi, diritto alla difesa e pacifismo. La finanza etica punta su dialogo e lungimiranza.

Se ogni guerra rappresentasse davvero un “buon motivo” per lanciare una nuova corsa alle armi, allora il mondo sarebbe letteralmente sommerso da bombe, missili, carri armati, caccia e testate nucleari. Perché di guerre in corso, in giro per il Pianeta, ce ne sono decine: quella scoppiata in Ucraina dopo l’invasione da parte della Russia, a ben vedere, è “solo” una delle tante.

Negli anni spesa militare in crescita e aumento della conflittualità

Negli ultimi anni, inoltre, il mondo non ha smesso di armarsi. La spesa militare, a livello mondiale, è cresciuta del 9,3 per cento in dieci anni. Al contempo – e non a caso – è cresciuta anche la conflittualità, del 6,2 per cento. E la sicurezza è scesa del 2,5 per cento, secondo il Global peace index 2021. Produrre, vendere, diffondere e possedere più armi, insomma, non sta rendendo il Pianeta un posto più pacifico nel quale vivere.

Certo, la guerra in Ucraina ha inevitabilmente scosso le coscienze, soprattutto per la vicinanza geografica. Ma anche per via delle più o meno velate minacce giunte dal governo di Vladimir Putin, che si è detto pronto ad utilizzare il proprio arsenale “nel caso in cui si presenti una minaccia esistenziale per la Russia”. A conferma del fatto che, quando a parlare smette di essere la diplomazia e cominciano a farlo i cannoni, le cose non fanno che precipitare.

Guerra in Ucraina, armi
La guerra in Ucraina ha scosso le coscienze, soprattutto per la vicinanza geografica, ma sono decine gli altri conflitti in corso nel mondo © Alexey Furman/Getty Images

Il sostegno della finanza tradizionale al settore delle armi

A sorridere, di fronte agli scenari di guerra, sono ovviamente i grandi produttori di armi. E soprattutto i loro azionisti: basti osservare l’andamento dei titoli in Borsa di numerosi colossi del settore nelle settimane successive all’invasione in Ucraina per rendersene facilmente conto. Una crescita trainata anche dalle dichiarazioni di praticamente tutti i governi occidentali, pronti ad aumentare gli stanziamenti per la difesa, raggiungendo il 2 per cento del prodotto interno lordo, come chiesto da tempo dalla Nato ai propri stati membri.

A sostenere il comparto dei produttori di armi c’è poi il mondo della finanza. Banche e fondi non hanno mai fatto mancare il loro apporto, in termini di finanziamenti, prestiti, sottoscrizioni, linee di credito. Un sistema oliato che ha contribuito a far sì che nel mondo esistano oggi più di 13mila testate nucleari (di cui oltre 11mila in possesso dei soli eserciti russo e statunitense).

Demilitarizzare i rapporti tra stati per sviluppare la pace

Esiste però anche un’altra finanza che da sempre ha rifiutato la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. E non ha mai investito in alcun segmento del business delle armi. Si tratta della finanza etica che sostiene, al contrario, la demilitarizzazione dei rapporti tra stati e punta a sviluppare una cultura del dialogo non armato.

Si tratta di una caratteristica che rappresenta il fondamento di un altro modo di fare finanza. E che, benché durante le guerre – soprattutto se così vicine – sia più difficile parlare di pace, insiste nel considerare la forza della ragione più importante della ragione della forza. La finanza etica, infatti, pone al centro dell’attività economica e finanziaria l’uomo e il Pianeta in cui viviamo. Punta a riformulare i fini e i mezzi del settore, con l’obiettivo di creare valore economico ma tutelando al contempo il bene comune.

La resistenza pacifica è più efficace di quella armata

La storia, d’altra parte, insegna che la guerra non è mai una soluzione. È stato provato da una ricerca di Erica Chenoweth sui movimenti di resistenza a regimi militari e occupazioni, nel periodo compreso tra il 1900 e il 2006: la resistenza nonviolenta a un regime ingiusto e illegittimo è più efficace della risposta armata. Il tasso di successo di tale risposta pacifica è del 70 per cento, rispetto al 15 per cento di quella armata. Anche nel caso di un’occupazione militare.

L’esclusione delle società legate agli armamenti da parte di chi fa finanza etica nasce anche da queste constatazioni. La convinzione è che demilitarizzare i rapporti tra stati non potrà che contribuire a far crescere una cultura del dialogo e modi alternativi ai conflitti armati per dirimere le controversie.

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