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La fine del carbone è sempre più vicina. Ha costi altissimi per la salute delle persone e non è più sostenibile per lo sviluppo. Cosa c’è da sapere sul combustibile fossile più sporco al mondo.
“L’abbondanza di carbone, lungi dall’essere un motivo di conforto, dovrebbe essere il nostro problema più grande”. Lo ha detto James Hansen, uno dei più importanti climatologi statunitensi. Sì, perché solo una parte del carbone presente nel mondo è estraibile a costi convenienti. L’Agenzia internazionale per l’energia parla addirittura di solo il 5 per cento. Tenendo conto di questo dato, il picco del carbone realmente sfruttabile sarebbe stato raggiunto già nel 2011 secondo il Wwf. Insomma, abbiamo superato il punto in cui la produzione non è più in grado di tenere il passo della domanda. Ogni anno che passa estraiamo sempre di più carbone con un impatto progressivamente maggiore sull’ambiente.
Totale delle emissioni di CO2 emesse ogni anno dalla combustione del carbone | 14,8 miliardi di tonnellate, il 46% del totale globale (fonte: Wwf) |
Vittime causate dagli incidenti legati all'estrazione del carbone negli Stati Uniti | 77 ogni settimana (fonte: Health and Environment Alliance) |
Vittime causate dalle malattie legate all'utilizzo del carbone come combustibile, in Europa e negli Stati Uniti | 450.654 ogni anno (fonte: Health and Environment Alliance) |
Vittime causate dalle malattie legate all'utilizzo del carbone come combustibile in Cina | 300.000 (fonte: Health and Environment Alliance) |
Eppure il 28,9 per cento dell’energia mondiale è ancora coperta con la combustione del carbone, facendone il secondo combustibile usato dopo il petrolio. La sua combustione però rappresenta la principale fonte di emissioni di gas serra: a parità di energia, infatti, le emissioni di CO2 sono del 30 per cento superiori rispetto a quelle emesse dalla combustione del petrolio e del 70 per cento rispetto al gas naturale. Nel 2013 il carbone ha rappresentato il 46 per cento di tutte le emissioni di CO2 nell’ambiente, corrispondente a oltre 14,8 miliardi di tonnellate, con un incremento del 3,4 per cento rispetto all’anno precedente.
Questi numeri non hanno un impatto solo sull’ambiente. Nel solo continente europeo, infatti, il carbone provoca 23mila morti premature all’anno e 250mila decessi in generale. Per ogni terawattora di energia prodotto dal carbone vi sono 24 morti, 225 affetti da malattie gravi e 13.288 colpiti da malattie minori. In Cina, dove le condizioni di lavoro sono meno “controllate”, i decessi sono tripli: 300mila morti ogni anno e 20 milioni di casi di malattie alle vie respiratorie. Dati che potrebbero raddoppiare entro il 2020, se non si cambia direzione. Negli Stati Uniti, la combustione di carbone è considerata tra le prime 4 cause di mortalità, senza considerare che per via di incidenti sul lavoro le vittime sono 77 a settimana.
Dalla rivoluzione industriale a oggi il carbone non è mai stato abbandonato ed è stato utilizzato specialmente nella generazione termoelettrica e nella produzione dell’acciaio. Quasi la metà della richiesta mondiale di carbone, tra i paesi cosiddetti sviluppati, arriva dagli Stati Uniti: dopo aver prosciugato i giacimenti di gas non convenzionale la domanda è tornata ad aumentare. Anche in Europa, per via degli aumenti sul costo del gas, la domanda non si è ridotta. Quindi in generale il carbone gode di un buon momento soprattutto grazie alla spinta proveniente dai paesi in via di sviluppo, come India e Cina. La Cina è il primo produttore seguito da Stati Uniti, India, Australia e Russia. Ma il carbone si produce anche in Indonesia, Sudafrica, Colombia, Kazakistan, Polonia. Poi ci sono grandi importatori, come di nuovo la Cina, il Giappone e la Corea del Sud, che non hanno giacimenti propri e che quindi aumentano l’impatto del carbone sull’ambiente per via del trasporto. Senza parlare del controllo dei giacimenti come concausa di guerre e conflitti devastanti.
Insomma, solo apparentemente il costo di un chilowattora (kWh) generato dal carbone (circa 9 centesimi di euro) costa meno di un kWh prodotto grazie al fotovoltaico (circa 11 centesimi di euro) perché, se sommassimo i danni che la combustione di carbone arreca ad ambiente e salute umana, tale costo schizzerebbe oltre i 30 centesimi. Monetizzare le esternalità negative sulla collettività è una pratica condivisa da diversi studi scientifici ma che purtroppo non ha ancora attecchito sulle decisioni prese dai governi. Se solo questi capissero che in taluni casi – vedi la Cina – le emissioni di pm2,5 incidono per oltre 10 punti percentuali sul prodotto interno lordo per via delle spese legate ai danni sulla salute umana, ecco che forse allora la politica si muoverebbe in una direzione più sostenibile.
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