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La Norvegia ha escluso dal portafoglio di investimenti del proprio fondo sovrano decine di aziende. Non per motivi finanziari ma per ragioni etiche.
Il più grande fondo d’investimenti sovrano del mondo, lo Statens pensjonsfond Utland della Norvegia, ha annunciato di aver escluso dal proprio portafoglio 73 imprese nel corso del 2015. E di averlo fatto a causa dell’impatto ambientale e sociale nefasto delle loro attività.
Ma facciamo un passo indietro: cos’è un fondo sovrano e perché lo stato scandinavo ne possiede uno (e adotta un codice etico)? In linea teorica tutti i governi hanno facoltà di aprire un fondo sovrano, che non è altro che un fondo di investimenti gestito dalla pubblica amministrazione. Ma farlo, ovviamente, ha senso se si possiede parecchia liquidità: ecco perché si tratta di una buona opportunità soprattutto per le nazioni che esportano molto.
Il problema è che, spesso, questi organismi finanziari sono utilizzati unicamente per massimizzare i profitti. Detto in termini semplici: vendo dei beni all’estero, incasso i ricavi e li reinvesto nella finanza, per ottenere altri ricavi. Magari senza far sapere neppure (se non in minima parte) in cosa investe il mio fondo sovrano: è il caso, ad esempio, del cinese China Investment Corp., che adotta una politica molto poco trasparente.
La Norvegia ha invece deciso di imporre delle regole ai propri investimenti. Così, il suo gigantesco fondo (da ben 726 miliardi di euro) è governato dalla banca centrale e da un Comitato etico composto da esperti di diritti umani, di politiche ambientali, di diritto internazionale e di economia. Che, nel tempo, ha stilato una lista nera, composta da quelle aziende che non soddisfano i criteri sociali e ambientali stabiliti, e nelle quali si è perciò deciso di non investire.
L’elenco è corposo. Comprende nomi noti come il produttore di mine anti-uomo Singapore Technologies Engineering, quelli di bombe a grappolo (cluster bombs) come Textron e General Dynamics, o ancora le aziende coinvolte nella fabbricazione di sistemi legati agli armamenti nucleari: dalla Lockheed Martin a alla Honeywell International, dalla Airbus alla Boeing.
Sono stati poi esclusi colossi del tabacco come British American Tobacco, Philip Morris e Alliance One International. Mentre altre aziende sono finite nella blacklist non per via dei loro prodotti, ma a causa dei loro comportamenti: il gigante Wal-Mart per fatti legati a violazioni dei diritti umani, e ancora Daewoo International, Vedanta, Norilsk Nickel e Rio Tinto per il devastante impatto ambientale delle loro attività.
Ancora, la Zte è stata “bannata” per problemi di corruzione, altre per questioni legate a violazioni riscontrate in teatri di guerra. Non sono ancora stati resi noti, invece, i nomi delle nuove settantatré aziende colpite dalla scure del Comitato etico. Ma secondo quanto riportato dall’agenzia Afp si tratterebbe soprattutto di produttori di cemento e di carbone, di compagnie che utilizzano tale fonte fossile per produrre energia, nonché di alcuni gruppi minerari.
Certo, ciò che va detto è che la liquidità investita dai norvegesi attraverso il loro fondo sovrano proviene in larghissima parte dall’esportazione di petrolio. E quest’ultimo, si sa, rappresenta un problema gigantesco per l’ambiente. La posizione di Oslo, in questo senso, può essere tacciata di incoerenza. Ma è anche vero che la selezione operata dal fondo sovrano può spingere alcune aziende a migliorare i propri comportamenti, al fine di non essere annoverati tra le imprese talmente poco etiche da dover essere escluse, innescando così un trend virtuoso.
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