Come è andato il Food systems summit dell’Onu, tra impegni e proteste  

Al vertice hanno partecipato grandi aziende e capi di stato, ma molti hanno criticato la scarsa attenzione dedicata al mondo dei piccoli produttori.

Si è aperto il 23 settembre a New York il Food systems summit, un evento organizzato dalle Nazioni Unite nella più ampia cornice dell’Assemblea generale in corso al Palazzo di vetro. L’iniziativa – che si è svolta in modalità principalmente virtuale – ha visto la partecipazione di capi di stato, organizzazioni internazionali, aziende private e rappresentanti della società civile, ai quali è stata offerta l’opportunità di dimostrare un impegno reale e concreto per migliorare la sostenibilità del sistema alimentare a livello globale.  

L’Italia ha avuto un ruolo di primo piano nell’organizzazione del summit: tra il 26 e il 28 luglio Roma ha infatti ospitato il pre-Summit, un evento introduttivo e preparatorio a quello di New York. Proprio in quell’occasione però un gruppo di circa 9mila persone, organizzate nella coalizione Food systems 4 people (FS4P), si era riunito virtualmente per protestare contro l’eccessiva importanza attribuita dagli eventi alle grandi aziende a scapito dei piccoli produttori.  

Food Systems Summit
La sede delle Nazioni Unite a New York © Spencer Platt/Getty Images

Le cinque aree d’azione del summit 

Il Food systems summit ha individuato cinque “aree d’azione” fondamentali su cui i leader mondiali e le organizzazioni coinvolte dovranno concentrarsi per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Onu per il 2030: nutrire tutti gli abitanti della Terra; promuovere modalità di consumo sostenibili; incentivare l’adozione di sistemi di produzione che rispettino la natura e la biodiversità; sviluppare resilienza nei confronti dei disastri naturali e dei conflitti; migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle persone direttamente coinvolte nel settore alimentare.  

Secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, nel 2019 690 milioni di persone – l’8,9 per cento della popolazione mondiale – non hanno avuto cibo a sufficienza. Il numero è cresciuto di 60 milioni negli ultimi cinque anni, e se le tendenze attuali dovessero continuare nel 2030 gli affamati saranno 840 milioni. Sempre nel 2019, inoltre, circa 750 milioni di persone si trovavano in una situazione di insicurezza alimentare.  

“La malnutrizione, la fame e le carestie non sono forze della natura ma il risultato di azioni umane, o della loro mancanza”, ha detto durante il summit il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, aggiungendo poi: “Nutrire una popolazione mondiale in crescita e salvaguardare il Pianeta è possibile […], la guerra che stiamo combattendo contro la Terra deve finire”.  

Food Systems Summit
In Kenya, quello che era il letto di un fiume è ormai diventato arido © Christopher Furlong/Getty Images

Il ruolo dell’Italia 

L’Italia è stata rappresentata dal presidente del Consiglio Mario Draghi, che ha sottolineato come la pandemia di Covid-19 e la crisi climatica stiano mettendo in forte difficoltà il sistema globale di produzione alimentare: “L’effetto combinato dell’emergenza sanitaria, dell’instabilità economica e dei cambiamenti climatici ha il potenziale per danneggiare i nostri sforzi collettivi nella lotta alla fame”, ha affermato il presidente.

Draghi ha inoltre ricordato la centralità della Dichiarazione di Matera, firmata lo scorso giugno in occasione del G20 dei ministri degli Esteri e dello Sviluppo e dedicata proprio al tema della sicurezza alimentare. Tra i suoi impegni principali c’è quello di creare una situazione di “zero fame” (zero hunger) entro il 2030: un traguardo che, seppure in linea con gli obiettivi sostenibili delle Nazioni Unite, oggi sembra estremamente difficile da raggiungere.

Il 18 settembre, poi, il G20 per l’Agricoltura si è chiuso con l’adozione congiunta della Carta della sostenibilità dei sistemi alimentari di Firenze, il cui obiettivo chiave consiste nel raggiungimento di una situazione di sicurezza alimentare per tutti a partire da tre punti di vista fondamentali: economico, sociale e ambientale.  

L’impegno degli Stati Uniti

Pochi giorni prima del summit, il 21 settembre, parlando all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il presidente americano Joe  Biden si è impegnato a investire 10 miliardi di dollari per combattere la fame negli Stati Uniti e nel mondo. “In un momento in cui quasi una persona su tre, a livello globale, non ha accesso a un’alimentazione adeguata, gli Stati Uniti si impegnano a radunare i propri alleati per affrontare il problema della malnutrizione e assicurarci di poter sfamare il mondo in modo sostenibile nei prossimi decenni”, ha detto il presidente da New York. 

In un comunicato stampa successivo la Casa Bianca ha chiarito che i fondi saranno divisi a metà tra gli investimenti rivolti verso l’estero e quelli mirati a “rafforzare il sistema alimentare negli Stati Uniti”. Gli Usa hanno inoltre in programma di investire altri 5 miliardi di dollari nel corso dei prossimi cinque anni nel programma Feed the future dedicato al contrasto alla povertà, alla fame e alla malnutrizione.  

Intervenendo al Food systems summit, l’attuale amministratrice dell’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale (Usaid) Samantha Power ha affermato che il programma Feed the future punta a ridurre la povertà del 20 per cento in cinque anni in una serie di Paesi selezionati, ma ha anche ricordato che nessun governo può fare la differenza da solo: “Abbiamo bisogno del supporto di fondazioni ed esperti, donatori e agenzie di sviluppo, compagnie private e paesi amici, non solo per nutrire il futuro, ma per costruirne uno in cui la fame possa essere solo un lontano ricordo”, ha dichiarato Power.  

Food Systems Summit
Persone in coda per il banco alimentare nel giorno del Ringraziamento © Michael Loccisano/Getty Images for Food Bank For New York City

Anche Melinda Gates, a nome della Bill & Melinda Gates foundation, si è impegnata a donare 922 milioni di dollari nel corso dei prossimi cinque anni per fare in modo che a livello globale “tutte le donne e i bambini possano avere accesso alle risorse alimentari di cui hanno bisogno per vivere in modo sano e produttivo”.

Le proteste 

Sia il Food systems summit sia il pre-vertice di Roma sono stati criticati da una serie di attivisti e gruppi direttamente coinvolti nella produzione alimentare globale. A luglio, 9mila persone si sono riunite virtualmente per protestare contro l’evento in corso a Roma, affermando che i vertici dell’Onu attribuiscono troppa importanza alle grandi aziende multinazionali e dimenticano invece i piccoli produttori e tutto l’universo di organizzazioni indipendenti coinvolte nel sistema alimentare.  

“Gli organizzatori del Food systems summit creano un’illusione di inclusività, ma non è chiaro chi sia realmente responsabile di prendere decisioni e che procedure vengano utilizzate per farlo”, si legge infatti sul sito di Food systems 4 people (FS4P), la coalizione che ha organizzato le proteste. Secondo FS4P, il summit mostra come le grandi aziende, in collaborazione con alcuni governi e rappresentanti diplomatici, stiano sfruttando le Nazioni Unite per trasformare il settore alimentare e renderlo più favorevole alle richieste del mondo corporate. 

Il manifesto di FS4P ha ricevuto più di 600 adesioni da parte di organizzazioni internazionali, gruppi locali e privati cittadini da tutto il mondo. Le proteste sono continuate durante l’estate e molte organizzazioni e movimenti sociali continuano tutt’ora ad opporsi al Food systems summit dell’Onu, affermando che questo non è abbastanza ambizioso e non offre risposte reali a problemi come la malnutrizione, le carestie o la crisi climatica.  

Food Systems Summit
Una cucina a Caracas, Venezuela

I leader e le aziende che hanno partecipato al Food systems summit hanno preso impegni importanti nei confronti dell’ambiente, dichiarando di voler risolvere il problema della fame nel mondo. Ora è il momento di passare dalle parole ai fatti 

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