Gaza, la tregua e la speranza di “tornare a casa”

Da oggi alle 7, ora locale, è in vigore la tregua a Gaza, che dovrà durare quattro giorni. I profughi si affrettano a tentare di tornare nelle loro case.

Un’atmosfera surreale ha avvolto la prima mattina di venerdì 24 ottobre nella Striscia di Gaza. Dopo un mese e mezzo di bombe, missili e un’invasione di terra da parte dell’esercito di Israele, a seguito dell’attacco del 7 ottobre, Hamas e il governo di Tel Aviv hanno negoziato e raggiunto un accordo per una tregua di quattro giorni, in cambio della quale il movimento di resistenza islamica palestinese si impegna a liberare decine di prigionieri, soprattutto donne e bambini.

I boati delle bombe lasciano il posto a clacson e sirene a Gaza

Un’intesa complessa, che è stata raggiunta grazie alla mediazione congiunta di Qatar, Egitto e Stati Uniti. I primi ostaggi tredici tra donne e bambini – saranno liberati alle 16 ora locale (le 15 in Italia). Complessivamente ne saranno rilasciati cinquanta, a fronte dei quali saranno consegnati da Israele 150 palestinesi attualmente detenuti nelle carceri dello stato ebraico.

Ma la tregua sta avendo anche un’altra conseguenza. Secondo quanto riferito dall’agenzia Afp, già alle prime luci dell’alba, prima ancora che entrasse ufficialmente in vigore il cessate il fuoco temporaneo, migliaia di persone che nelle scorse settimane sono state costrette a fuggire si sono messe in cammino a partire dalle aree meridionali della Striscia di Gaza, con l’obiettivo di provare a “tornare a casa”.

Gaza
La devastazione a Gaza © Said Khatib/Afp/Getty Images

Nelle ultime 48 ore, infatti, i bombardamenti aerei sul territorio assediato sono stati incessanti. Ad essi si sono aggiunti i colpi d’artiglieria e dei carri armati sulla porzione orientale, della marina militare su quella occidentale. Tutto ciò, nella mattinata di venerdì è improvvisamente cessato, ma a regnare a Gaza non è il silenzio. Nelle strade risuonano appunto i clacson delle auto e le sirene delle ambulanze che cercano di farsi largo per sfruttare le poche ore a disposizione. Assieme a chi va a piedi e ai numerosi carretti trainati da asini. Tutti con valige, buste, sacchetti nelle mani.

Volantini dall’esercito israeliano: “La guerra non è finita”

La maggior parte delle persone esce da rifugi di fortuna, ospedali o scuole gestite dalle Nazioni Unite. Luoghi nei quali sono sfuggiti alla morte e alla distruzione. Finora, il conflitto a provocato la morte di almeno 14mila civili tra i palestinesi, molti dei quali bambini, e ad essi si aggiungono le 1.200 vittime degli attacchi di Hamas.

Intanto, chi tenta di tornare a casa rischia fortemente di non trovare altro che macerie. Secondo le Nazioni Unite, infatti, più della metà delle abitazioni della Striscia di Gaza è stata distrutta o danneggiata dai raid dell’aviazione israeliana, e solo il 30 per cento dei 2,2 milioni di abitanti è potuto rimanere nella propria casa. Lo spostamento, inoltre, resta fortemente pericoloso: l’esercito israeliano ha lanciato dei volantini sulla Striscia di Gaza chiarendo che “la guerra non è finita” e che “spostarsi verso nord è vietato e molto rischioso”.

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