Giornata per l’Amazzonia, 10 cose che minacciano la foresta “polmone” del Pianeta

Incendi, deforestazione, coronavirus. 5 settembre, giorno dell’Amazzonia, scopriamo cosa minaccia il nostro polmone verde.

Dal primo gennaio al 30 giugno di quest’anno sono stati distrutti 3.070 chilometri quadrati di foresta amazzonica: il 26 per cento in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Nel mese di luglio, l’Istituto brasiliano di ricerca spaziale (Inpe), ha registrato nella sola Amazzonia brasiliana, un aumento del 28 per cento del numero di incendi rispetto allo stesso periodo del 2019 (6.803 incendi registrati rispetto ai 5.318 roghi di luglio 2019), principalmente causati dall’impennata dei livelli di deforestazione illegale. In tutto, al 31 agosto, sono stati oltre 63mila gli incendi divampati.

Visione aerea della foresta amazzonica vicino Manaus, Brasile
A causa della deforestazione l’Amazzonia rischia di trasformarsi in un’arida savana © Neil Palmer/CIAT/Flickr

Per questo, per mantenere alta l’attenzione, ogni 5 settembre – giorno in cui, nel 1850, venne creato ufficialmente lo Estado do Amazonas che oggi è uno degli stati federati del Brasile – si celebra il Día de Amazonía, la giornata dedicata al polmone verde della Terra, e alcune delle più grandi organizzazioni non governative al mondo, dal Wwf ad Amnesty International, ne sottolineano per l’occasione tutte le criticità e le fragilità, non a caso tanto dal punto di vista ambientale quanto da quello dei diritti umani delle popolazioni che vi abitano: incendi, deforestazione a scopo economico, cambiamenti climatici, popolazioni indigene sempre più minacciate dalla Covid-19.

10 cose da sapere sull’Amazzonia

Il Wwf stila un vero e proprio elenco delle 10 cose da sapere su quello che, sottolinea, è un ecosistema unico e irripetibile sul nostro Pianeta: intanto, che l’Amazzonia fornisce circa il 20 per cento delle acque dolci che arrivano agli oceani del globo, che influenzano il sistema delle correnti marine e quindi, il clima del pianeta. Inoltre, l’effetto Amazzonia influenza il regime delle piogge non solo nel bacino del Rio delle Amazzoni ma in gran parte del Sudamerica: senza questa grande distesa di foreste, spiega il Wwf, il continente potrebbe ritrovarsi a secco.

Una foresta dello stato di Rondônia in fiamme
La foresta amazzonica si estende per circa sei milioni di chilometri quadrati e, sebbene contribuisca solo in minima parte all’ossigeno prodotto ogni anno nel mondo, appena il 6 per cento, è indispensabile per immagazzinare grandi quantità di carbonio © Victor Moriyama/Getty Images

Del resto, il bacino del Rio delle Amazzoni copre circa il 40 per cento del continente sudamericano e comprende parti di otto paesi sudamericani: Brasile, Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela, Guyana, Suriname oltre alla Guyana francese. E per chi vuole farne una questione anche economica, c’è da dire che il 70 del prodotto interno lordo del Sudamerica è prodotto in aree che ricevono piogge o acqua dall’Amazzonia. C’è anche spazio per una piccola, grande curiosità, che in pochi forse conoscono: il Rio delle Amazzoni infatti un tempo scorreva verso ovest invece che verso est come oggi, è stato l’innalzamento nei millenni delle Ande che lo ha spinto a sfociare nell’oceano Atlantico.

Quanto valgono flora e fauna

Per quanto riguarda la flora e la fauna, invece, si stima che il bacino del Rio delle Amazzoni abbia 390 miliardi di alberi appartenenti a 16mila specie diverse mentre l’intera Amazzonia custodisce il 10 per cento delle specie finora conosciute. Si pensa inoltre che la foresta abbia 2,5 milioni di specie di insetti e che più della metà delle specie della bacino pluviale viva sugli alberi. Per capire le dimensioni della foresta amazzonica, basti pensare che la sua estensione è pari a due volte l’India.

Tutto questo è però anno dopo anno messo in pericolo dall’uomo. Il Wwf ricorda che quasi due terzi della foresta amazzonica si trovano in Brasile, il cui attuale leader Jair Bolsonaro è molto criticato dalla comunità internazionale e in patria non solo per lo scarso interesse riservato alla tutela dell’Amazzonia, ma per il dichiarato intento di rendere economicamente attiva, tramite disboscamento e riconversione ad agricoltura e allevamenti intensivi, gran parte della foresta. Eppure già oggi l’allevamento di bestiame è responsabile di circa il 70 per cento della deforestazione.

Gli incendi e le responsabilità del governo

Per quanto riguarda gli incendi invece, Amnesty International attacca direttamente il governo brasiliano: “È assolutamente chiaro che l’esercito non ha la competenza o l’esperienza necessaria per fermare coloro che bruciano la foresta e si impossessano illegalmente di terreni protetti”, ha affermato Richard Pearshouse, responsabile ambiente e crisi di Amnesty International. “Il governo brasiliano mina deliberatamente la capacità operativa delle proprie agenzie ambientali al fine di aprire l’Amazzonia agli affari. L’unico modo per proteggere l’Amazzonia è che il governo mostri un chiaro sostegno politico per la protezione dell’ambiente in Amazzonia, iniziando con il ripristino di fondi e risorse e sostenendo le agenzie di protezione ambientale”.

Gli incendi sono spesso appiccati intenzionalmente dai cosiddetti grileiros, privati il cui intento è distruggere le aree boschive per aprirle al pascolo: questa attività illegale sostiene l’industria miliardaria della carne bovina brasiliana. Sempre più spesso gli incendi vanno a colpire anche le aree protette abitate dalle popolazioni indigene, alcune delle quali incontattate, come di recente documentato proprio da Amnesty nel territorio indigeno di Uru-Eu-Wau-Wau e le riserve di Rio Jacy-Paraná e Rio Ouro Preto.

Ultimo in ordine di tempo dei problemi che riguardano i popoli indigeni è arrivato quest’anno il coronavirus: lo studio Não são números, são vidas! (“Non siamo numeri, siamo vite!”) pubblicato da Coordenação das Organizações Indígenas da Amazônia Brasileira (Coiab) e Instituto de Pesquisa Ambiental da Amazônia (IPAM) evidenziava a giugno che il virus è particolarmente letale tra le popolazioni indigene, con un tasso di mortalità superiore del 150 per cento rispetto a quello del resto del Brasile, per un misto di cause che comprende l’assenza di strutture ospedaliere adeguate e la mancanza di anticorpi dovuta alla quasi totale assenza di interazioni con altre comunità umani nel corso dei secoli.

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