Il 20 giugno è la Giornata mondiale del rifugiato. Quest’anno forse la vivremo diversamente: l’editoriale della direttrice della comunicazione Avsi.
Giornata mondiale del rifugiato 2018. Si ricorda la peggiore crisi umanitaria del nostro tempo
Non sorprende se i paesi più poveri sono quelli che accolgono più rifugiati al mondo. Una panoramica dell’ong Azione contro la fame ci ricorda i numeri della più grande crisi umanitaria a cui stiamo assistendo.
La Giornata mondiale del rifugiato, che si celebra il 20 giugno, è un’occasione per sottolineare che il fenomeno migratorio dovuto a guerre e conflitti è in aumento. Nello scorso anno, il numero di rifugiati e sfollati nel mondo ha raggiunto i 66 milioni di persone. Una delle conseguenze principali di questo fenomeno è stato l’aumento del numero di persone che soffrono la fame, tornato a crescere per la prima volta dopo più di un decennio.
La giornata mondiale del rifugiato e la fame
Una delle forme di fame che le guerre portano con sé è infatti legata ai massicci spostamenti di persone in fuga dalla violenza. Insieme alla loro casa, queste persone abbandonano i loro mezzi di sostentamento, diventando completamente dipendenti dalla solidarietà delle popolazioni ospitanti o, se riescono a raggiungere un campo profughi e ottenere lo status di rifugiati, dagli aiuti internazionali.
Una persona sfollata trascorre mediamente 17 anni lontano da casa. Un dato sconcertante. La prolungata permanenza dei rifugiati, però, non solo porta al limite i meccanismi di adattamento dei rifugiati stessi – e negli ultimi anni abbiamo visto aumentare quasi ovunque i casi di matrimonio precoce e lavoro minorile – ma mette anche pressione sui servizi di base e sulle risorse naturali dei Paesi ospitanti, la maggior parte dei quali non sono Paesi occidentali ricchi di risorse ma Paesi in via di sviluppo, spesso suscettibili a nuovi conflitti.
Negli ultimi anni, inoltre, si è accusata una certa stanchezza da parte dei donatori verso alcuni “conflitti congelati” e una tendenza a ridurre gli aiuti umanitari quando la presenza di rifugiati dura più di uno o due anni. Per questo motivo, Azione contro la fame cerca soluzioni per generare mezzi di sostentamento tra i rifugiati stessi, attraverso piccole forme di scambio commerciale o attività professionali all’interno dei campi, in modo da generare un margine di autonomia dagli aiuti umanitari. Uno dei progetti più di successo in questo ambito, legato al riciclo dei rifiuti è stato avviato da Azione contro la Fame con i rifugiati siriani a Irbid, in Giordania, e con il supporto finanziario di Giz.
Rifugiati siriani in Giordania
Il continuo afflusso di rifugiati in Giordania, in particolare dalla Siria, sta mettendo sotto pressione l’economia del paese e le sue infrastrutture. Si stima che il numero di rifugiati sia di oltre 1,3 milioni di persone, di cui il 79 per cento vive nelle comunità urbane o rurali e il restante 21 per cento nei campi. La sfida è quindi fornire a questa ampia fetta di popolazione mezzi di sostentamento di base e allo stesso tempo sostenere le comunità ospitanti nei loro bisogni immediati.
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Il progetto Waste upcycle di Azione contro la fame, rivolto principalmente a donne siriane e giordane appartenenti ai ceti più poveri, aumenta le opportunità di sostentamento, di integrazione e porta benefici all’area locale, disseminata di plastica, carta e altri rifiuti domestici. Per molti rifugiati siriani, questa è stata la prima volta che hanno avuto l’opportunità di guadagnare denaro e di integrarsi nella comunità locale di Irbid.
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Oltre che con i rifugiati siriani in Giordania e in Libano, Azione contro la fame lavora in altre importanti crisi: in Mali, Niger, Mauritania, Sud Sudan e con i rifugiati rohingya in Bangladesh.
Rifugiati rhoingya in Bangladesh
Con 620mila arrivi in soli tre mesi, quella dei Rohingya è la crisi di rifugiati in più rapida ascesa. Un afflusso enorme, con un effetto travolgente sul Bangladesh, un Paese dove il 31,5 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà.
Attualmente circa un milione di persone si è rifugiato nei campi e nei villaggi di Cox’s Bazar. Oltre il 40 per cento dei bambini è rachitico e i tassi di malnutrizione acuta sono nettamente al di sopra delle soglie di emergenza dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Nel 2017 Azione contro la fame ha risposto a tre emergenze principali e concatenate: la crisi dei rifugiati Rohingya, il tifone Mora e le forti inondazioni nelle regioni nord-occidentali. In collaborazione con diverse organizzazioni locali e internazionali, abbiamo organizzato la prevenzione e il trattamento della malnutrizione acuta, nonché il sostegno alle persone vulnerabili nei campi formali e informali, attraverso interventi diretti nei settori dell’alimentazione, della salute fisica e mentale, dell’acqua e dell’igiene.
Parallelamente, i team dell’ong hanno portato avanti attività di riduzione del rischio di catastrofi, rafforzando la resilienza di comunità e autorità per far fronte ai disastri naturali. Il Bangladesh infatti è un Paese particolarmente vulnerabile ai disastri climatici. Ma non è il solo.
Rifugiati dimenticati
La desertificazione inarrestabile del Sahel sta rendendo invivibile un’intera regione del continente africano. Se è infatti vero che la stagione della fame è un fenomeno ciclico tipico del fascia subsahariana, a causa del cambiamento climatico globale, il periodo di magra si estende sempre di più e il comportamento delle piogge si fa sempre più imprevedibile.
Quest’anno in Senegal e in Mauritania si teme la peggiore crisi alimentare dal 2012, l’anno dell’ultima grande siccità. Ma questo non basta per fermare l’afflusso di profughi dal Mali. “Nel campo di Mberra ci sono circa 56mila rifugiati scappati dalle violenze in Mali. La metà di loro non ha nemmeno i 18 anni”, ha dichiarato da Nouakchott Elena Vicario, direttrice di Azione contro la fame in Mauritania. “Ci troviamo in una situazione critica: è stato coperto solo il 6 per cento dell’appello umanitario per i rifugiati in Mauritania, che dipendono completamente dall’assistenza alimentare”.
Secondo i dati del ministero dell’Interno, negli ultimi sei mesi sono arrivati in Italia 14.400 persone – un quarto di quelle rifugiate nel Paese desertico e senza possibilità. E appena un ventesimo dei 280mila rifugiati e richiedenti asilo provenienti dall’Africa orientale bloccati in Yemen. Per scappare dalla violenza, queste persone si sono ritrovate in una guerra. Per scappare dalla fame e dalla siccità sono finite, inconsapevoli, nella più grande crisi umanitaria del momento. Ma la comunità internazionale, ben consapevole, ha deciso di dimenticarsi di loro. Questa giornata esiste per forzare, se non l’azione, almeno la consapevolezza di cosa sta accadendo.
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