Trasporto pesante, facciamo il punto sull’idrogeno

Tecnologia fuel cell per la logistica: ecco perché l’idrogeno rappresenta oggi l’alternativa sostenibile per molte case produttrici di autocarri e camion.

Lo chiamano “oro verde” proprio per la vocazione green e sostenibile, e dopo anni di promesse e proclami, in un periodo in cui si è disperatamente alla ricerca di alternative al carburante tradizionale e si punta moltissimo sull’elettrico per abbattere le emissioni, l’idrogeno sembra ricevere l’attenzione che merita.

Tecnologia fuel cell e idrogeno verde

Da decenni ormai la tecnologia fuel cell tiene banco tra esperti e politici, che promuovono (i primi) e promettono (i secondi) che la rivoluzione in termini di sostenibilità e mobilità arriverà dall’idrogeno. L’idrogeno rappresenta una delle opzioni indicate dalla Commissione europea (Dafi) per la decarbonizzazione dei trasporti con applicazioni su automobili, camion, treni, navi e mezzi di movimentazione merci, ma la sua avanzata non è proseguita rapida come ci si auspicherebbe alla luce dei moltissimi vantaggi che apporterebbe.

Idrogeno trasporto pesante
Scania ha collaborato con Asko, il principale grossista di beni di largo consumo norvegese, per testare sistemi di propulsione sfruttando l’idrogeno © Scania

Il rallentamento è principalmente legato a ragioni economiche e pratiche. La tecnologia fuel cell – quella che sfrutta cioè cellule a idrogeno e ossigeno per produrre energia senza emissioni – è infatti costosa, soprattutto se si parla di idrogeno verde, quello davvero a emissioni zero, che viene creato separando idrogeno e ossigeno dall’acqua attraverso un elettrolizzatore che funziona a energia elettrica. Energia che, in ottica di riduzione emissioni non solo quando si usa l’idrogeno, ma anche quando lo si produce, deve essere generata da fonti green e rinnovabili. Il tutto è decisamente costoso, e senza un piano di investimenti e incentivi da parte dei governi, la tecnologia a idrogeno resta fuori portata soprattutto quando si parla di utilizzarlo per le auto tradizionali. Il discorso cambia, però, se si parla di flotte di camion commerciali e dell’uso dell’idrogeno nel settore della logistica.

Idrogeno e tecnologia fuel cell per la logistica: i pionieri

Anche i produttori di camion, infatti, devono adeguarsi come le case automobilistiche alla spinta dei governi al taglio delle emissioni, rispettando i termini dell’accordo di Parigi consentendo un’Europa carbon free entro il 2050. E nei casi di camion e mezzi (che producono gran parte delle emissioni) che devono percorrere lunghi percorsi per le consegne, l’elettrico non è un’alternativa sostenibile come accade per le auto private: per garantire maggiore autonomia bisognerebbe ricorrere a batterie più grosse, che diventerebbero di fatto un ingombro. E il camion si ritroverebbe a trasportare meno carico per fare spazio alla batteria, con il rapporto tra guadagno e spesa non sostenibile.

Che fare allora? L’idrogeno potrebbe diventare, per molte case produttrici di autocarri e camion, l’alternativa, e negli ultimi mesi sono stati svelati sempre più mezzi a idrogeno. È il caso, per esempio, di Nikola Tre, il camion elettrico a celle a combustibile firmato da Iveco, Fpt Industrial e l’americana Nikola Corporation, che dovrebbe arrivare su strada entro il 2023, subito dopo il debutto di un mezzo full electric con autonomia da 400 km.

Camion idrogeno Nikola
Nikola Tre è un camion elettrico a celle a combustibile © Nikola

Il gruppo Hyundai – che con Toyota è la casa che più si sta concentrando sull’idrogeno anche nel settore auto – ha consegnato i primi camion a celle a combustibile in Europa, annunciando che nel 2021 inizierà a venderli negli Stati Uniti e in Cina. E ha avviato una sperimentazione in Svizzera (tramite Hyundai hydrogen mobility AG) con Auto AG Truck, consegnando i primi sette dei cinquanta semirimorchi da 36 tonnellate Xcient che inizieranno a circolare sui percorsi che consentiranno di fare rifornimento di idrogeno.

Anche Toyota, come detto, si è messa in scia, e con Hino (il brand specializzato in autocarri e bus) ha annunciato che il primo camion a celle a combustibile arriverà in Nord America nella prima metà del 2021.

Ancora: nel professo di elettrificazione, Scania (che ha già presentato i suoi mezzi elettrici) ha siglato una partnership con Asko, principale grossista norvegese di beni di largo consumo, per autocarri a celle a combustibile alimentate a gas idrogeno. Si tratta, spiegano da Scania, di un progetto pilota unico nel suo genere, che prevede per ora l’introduzione su strada di quattro autocarri pronti a svolgere le attività quotidiane del trasporto merci. Una sperimentazione finalizzata a capire quanto la tecnologia a idrogeno sia sostenibile e adattabile alle esigenze.

Bosch, colosso tedesco dell’innovazione e dei servizi, sta lavorando con la startup Powercell per sviluppare la pila, il nucleo della cella a combustibile, e prepararla al lancio sul mercato, con l’obiettivo di avviare la produzione degli impianti completi nel 2022-2023. Hyzon motors, con l’aiuto del colosso dell’energia francese Total, prevede di consegnare circa 5 mila camion a celle a combustibile e autobus nei prossimi tre anni.

Camion idrogeno Scania
Oltre alle fuell cell, Scania ha appena lanciato sul mercato la sua prima gamma di veicoli elettrici. I nuovi veicoli ibridi plug-in ad alte prestazioni e quelli totalmente elettrici, saranno inizialmente disponibili per le applicazioni urbane © Scania

Fondi e infrastrutture, i nodi da sciogliere e i piani di investimento

I progetti, insomma, ci sono. I nodi da sciogliere sono quindi due, e il primo è l’infrastruttura di ricarica, che esattamente come per l’elettrico, è un tassello fondamentale per l’adozione su larga scala della tecnologia a idrogeno. Se sull’elettrico si sta spingendo con più forza, con nuove colonnine e stazioni di ricarica cui lavorano sia i governi sia i marchi, sull’idrogeno si è ancora indietro.

Nel 2019 sono state 83 le stazioni di rifornimento a idrogeno aperte nel 2019, 36 delle quali in Europa, 38 in Asia, nove negli Stati Uniti, per un totale di 432 stazioni operative, 330 pubbliche. Quadruplicate in quattro anni, emerge dal dodicesimo report annuale di H2stations.org, ma comunque ancora in numero insufficiente per sostenere un utilizzo su larga scala dell’idrogeno, anche se per i camion sarebbero sufficienti in numero minore rispetto al mercato delle auto tradizionali.

Il secondo nodo da sciogliere è quello che riguarda strategie di sviluppo e fondi. La Commissione europea, lo scorso luglio, ha presentato la strategia Ue per l’idrogeno, che mette al centro proprio il cosiddetto idrogeno verde: obiettivo, fare dell’Europa un leader mondiale nel campo dell’idrogeno rinnovabile con 500 miliardi di investimenti e la fondazione della Clean hydrogen alliance.

In Italia, il ministero dell’Università e della ricerca (Miur) ha fornito le prime linee guida per una ricerca sull’idrogeno all’interno del programma della Ue, concentrandosi su soluzioni per la produzione, lo stoccaggio, la distribuzione e l’utilizzo di idrogeno senza emissioni di CO2.

Il cosiddetto Recovery plan, inoltre, prevede parecchi investimenti nel campo, con il Mise che ha destinato un miliardo di euro delle risorse disponibili a un piano che si articola su sei punti: tra i principali, lo sviluppo di prototipi per arrivare a idrolizzatori su scala industriale, la creazione di una piattaforma di ricerca dedicata alla produzione e allo stoccaggio di idrogeno, e creazione di “hydrogen valleys”, che dovrebbero promuovere e diffondere l’uso dell’idrogeno su scala locale con progetti e reti dedicate.

Il ministro allo Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, aveva confermato il piano italiano di investimenti citando non solo le risorse del Recovery plan, ma anche la manovra di bilancio di dicembre chiarendo che i miliardi a disposizione per i cosiddetti “important projects of common european interest” sull’idrogeno saranno tre.

L’Italia ha poi all’attivo importanti progetti di ingegneria in corso di realizzazione, come l’impianto “Waste to hydrogen” di NextChem nella bioraffineria Eni di Venezia, e in questo contesto quello dei trasporti rappresenta uno dei nodi principali, con studi già avviati come il “Piano nazionale di sviluppo mobilità idrogeno Italia” di H2IT che delinea le potenzialità di sviluppo dell’infrastruttura di rifornimento sul territorio nazionale e le azioni necessarie per la sua realizzazione: l’idea è produrre idrogeno dai rifiuti, sfruttando gli imballaggi di plastica non riciclabili, sfruttando la collaborazione con Corepla.

“Il governo italiano è al lavoro per una strategia specifica sull’idrogeno per tracciare un quadro di lungo termine per poter programmare investimenti e ragionare in ottica europea”, aveva assicurato Gilberto Dialuce, direttore generale della Direzione generale infrastrutture e sicurezza dei sistemi energetici e geominerari del Mise, nel corso della Conferenza internazionale “Potenzialità della filiera dell’idrogeno nel contesto della transizione energetica“, che si è tenuta a settembre in Campidoglio, ricordando che anche altri Stati membri dell’Unione europea, Germania e Francia su tutti, si sono mossi per la coalizione dell’idrogeno “verde” per incrementare gli investimenti nella filiera da parte della Commissione europea.

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