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Il successo che vanta oggi il vino made in Italy, riconosciuto in tutto il mondo, è frutto di una parabola che, forse, comincia proprio dal punto più basso e vergognoso per noi: lo scandalo del vino al metanolo (23 vittime e decine di intossicati). Dal vino al metanolo ai due terzi di certificazione d’origine Dal
Il successo che vanta oggi il vino made in Italy, riconosciuto in tutto il mondo, è frutto di una parabola che, forse, comincia proprio dal punto più basso e vergognoso per noi: lo scandalo del vino al metanolo (23 vittime e decine di intossicati).
Dal vino al metanolo al made in Italy verso la qualità, la certificazione d’origine e il bio, il giro di boa del vino italiano è sancito dai numeri.
Nel 1986 l’Italia produceva 77 milioni di ettolitri, che oggi sono scesi a 47, in linea con i consumi pro capite nazionali scesi dai 68 litri degli anni Ottanta ai 37 di oggi.
Il calo produttivo e dei consumi però ha portato con sé una portentosa esplosione dei valori, trainati dall’export passato da un valore di 800 milioni di euro nel 1986 ai 5,4 miliardi del 2015 (+575%). E spinto dall’export è volato l’intero giro d’affari del settore passato dai 4 miliardi di euro di trent’anni fa ai 9,4 di oggi.
La crescita costante degli investimenti su genuinità, tracciabilità, qualità è testimoniata dal boom delle etichette Doc e Docg, che negli anni ’80 erano il 10% della produzione totale e sono il 35% oggi. Sommando questo dato a quello dei vini Igt, la quota del vini certificati sul totale arriva al 66 per cento. Due vini su tre hanno una qualche certificazione di garanzia, volontaria, aggiuntiva rispetto ai requisiti minimi di legge.
Oggi, come dimostrano i confronti economici, la situazione è del tutto diversa, positiva e rassicurante, addirittura gloriosa. Nel primo semestre 2015 le esportazioni di vino sono cresciute del 6,5% a 1,1 miliardi di euro (l’anno prima nello stesso periodo erano già salite del 4%) a fronte di volumi esportati stabili o lievemente calanti (4,7 milioni di ettolitri) in un contesto mondiale di rallentamento. Il dato interessantissimo è che anche la lieve diminuzione di volume dell’esportato (-1,67%), è compensata dall’aumento del valore medio unitario di ben 20 centesimi al litro (da 2,40 a 2,60 euro). Cioè, ne esportiamo un po’ meno, ma guadagniamo di più: difatti il valore di questo mercato è ormai di 2,6 miliardi di euro.
Benissimo le esportazioni in Cina e Asia centrale (+17%), Usa (+17%) e in Russia. L’export verso i Paesi terzi corre quattro volte più veloce che nell’Unione Europea. Le esportazioni di vino italiano in Cina sono esplose del 305 per cento negli ultimi cinque anni.
Il Veneto ha allungato le distanze dal Piemonte per l’export regionale di vini (1,6 miliardi di euro), grazie al Prosecco. L’export di vino veneto solo in America in 10 anni è cresciuto del 70%. In sei anni l’export di vino toscano è aumentato del 50 per cento in cinque anni e ora vale 750 milioni annui, quello dell’Emilia-Romagna del 60 per cento, toccando quota 388 milioni.
Intervenuto alla presentazione di un dossier di Coldiretti e Fondazione Symbola a Roma sul vino italiano a trent’anni dallo scandalo metanolo, il ministro dell’Agroalimentare Maurizio Martina ha ricordato: “Il trentennale da quello scandalo cade in un momento utile per darci una nuova strategia. Dobbiamo capire cosa vuol dire portare il vino nel mondo evitando di celebrarci su numeri ed eccellenze. Bisogna subito chiarire le nuove frontiere da affrontare”.
“È tempo di ragionare sulle prospettive – ribadisce un rapporto di Fondazione Symbola – su come affrontare la concorrenza forte e agguerrita dei produttori internazionali che si concretizza, slealmente, anche con la vinopirateria. Per far questo occorrono poche cose concrete: tutelare i vitigni antichi e autoctoni che costituiscono un grande patrimonio e valore aggiunto; valorizzarne le assolute qualità attraverso mirate politiche di marketing; favorire e finanziare ancor di più la ricerca affinché queste qualità possano essere trasmesse in prodotti vinicoli di alto pregio; promuovere il turismo del vino con azioni che valorizzino l’identità dei territori come veri e propri distretti; rafforzare sempre di più il legame tra vino e territorio, forte antidoto contro ogni futura tentazione illegale”.
A conferma dei concetti espressi da Coldiretti e da Fondazione Symbola, ancora più gratificanti sono i numeri che non si possono confrontare rispetto a trent’anni fa, perché riferiti a settori allora inesistenti. Sono le cifre relative a quelli che oggi sono veri e propri fenomeni che nel 1986 non esistevano. Come l’enoturismo che lo scorso anno ha coinvolto 3 milioni di persone, o come ancora il vino biologico, sconosciuto fino a qualche decennio fa e che nel 2015 ha riguardato in Italia una superficie di 72mila ettari.
La sfida, dunque, è dare ai produttori certezze imprenditoriali e offrire a tutti gli appassionati del vino altrettante garanzie. Come? La via è quella della natura, della storia, della qualità. Che in Italia non scarseggiano.
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