
Negli ultimi anni le terre indigene Kayapó, Munduruku e Yanomami, nell’Amazzonia brasiliana, sono state devastate dalle miniere d’oro illegali.
I popoli indigeni hanno un legame profondo con la propria terra. Ora uno studio rivela che potrebbero salvare oltre un quarto del pianeta e le sue regioni più incontaminate.
Sono meno del 5 per cento della popolazione mondiale, ma salvaguardano l’80 per cento della biodiversità che ci resta. Sono gli indigeni, che custodiscono la chiave per proteggere le aree più incontaminate del pianeta, dal momento che ne gestiscono il 40 per cento. Complessivamente hanno diritti su oltre un quarto della superficie mondiale, per un totale di 38 milioni di chilometri quadrati distribuiti su 87 paesi.
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Lo ha rivelato un team internazionale di ricerca guidato dall’università australiana Charles Darwin, in uno studio pubblicato il 16 luglio sulla rivista Nature sustainability. È la prima volta che viene mappato con precisione il territorio abitato dagli indigeni, circa 370 milioni di persone; per farlo c’è voluta un’attenta analisi di un’ampia mole di dati geospaziali. Ora la necessità di coinvolgere questi popoli nella gestione del territorio è supportata da dati scientifici. “I nativi hanno tra le mani il futuro di gran parte delle terre selvagge nel mondo”: è questo il messaggio che gli studiosi vogliono lanciare.
Già sapevamo che la perdita di foreste si dimezza nei territori abitati dagli indigeni, ora aggiungiamo nuovi tasselli: circa il 65 per cento di queste aree si è salvata dallo sfruttamento – nelle altre zone si scende al 44 per cento. Sono moltissimi i casi in cui il controllo del territorio da parte dei nativi si è rivelato efficace, duraturo e resiliente, evidenziando come una governance di questo tipo possa dar vita a “relazioni sostenibili fra uomo e paesaggio”, considerando che “i popoli indigeni conducono attività compatibili con la biodiversità locale e spesso la incentivano”. Del resto, sono le persone che conoscono meglio le proprie terre e sulle quali hanno sempre fatto affidamento, “posseggono conoscenze ancestrali sull’adattamento, la mitigazione e la riduzione dei rischi derivanti dai cambiamenti climatici e dai disastri naturali”, secondo la Banca Mondiale.
#NAIDOC2018 #BecauseOfHerWeCan From its foundations, Indigenous women have contributed to making this University what it is today. They have inspired, driven change and shown pathways for the next generations. We proudly acknowledge them all! https://t.co/1vKXAbkSVN pic.twitter.com/nYxzAn808L
— Charles Darwin University (@CDUni) 13 luglio 2018
Se sull’isola di Pasqua è nata un’area protetta grande oltre 700mila chilometri quadrati, lo dobbiamo alla popolazione locale, i Rapa Nui. È grazie agli aborigeni che il massiccio di Uluru, in Australia, è al riparo dal turismo sregolato ed è per merito dei Maori che il fiume Whanganui, in Nuova Zelanda, gode degli stessi diritti di un essere umano. Gli indigeni sono disposti a rischiare la loro vita pur di proteggere il loro territorio. I nativi americani, privati di qualunque diritto, non sentono di essere rimasti senza casa perché la Terra è la loro casa. Chi meglio di loro può proteggerla.
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